Gli androidi di servizio non sono più fantascienza (ma non saranno mai umani). I vantaggi economico- sanitari e i problemi giuridici di una strategia che rivoluzionerà l'assistenza di anziani e malati. L'Italia, per una volta, potrebbe non arrivare in ritardo.

«La nostra vita agli umani sembra semplice, invece è molto complessa. Noi robots siamo al servizio dell'uomo: è l'uomo che ci comanda». Giulia, studentessa di III media, ha scritto una storia, pubblicata sul sito dell'European Centre for Law, Science and New Technologies (ECLT) dell'Università degli Studi di Pavia, dalla parte degli androidi, esseri di metallo in grado, grazie alle sembianze fisiche e al cervello elettronico, di convivere con gli umani e di servirli. Sono companion robots – macchine da compagnia – utili non solo per svolgere mansioni pericolose, come, ad esempio, la pulizia delle cisterne delle grandi navi o i lavori in assenza di gravità, ma anche in grado di ricordare ai genitori anziani di prendere le pillole, capaci di monitorare il battito cardiaco e di avvertire il medico se e quando serve. Sono solo fantasie in stile Dmitry Itskov, il tycoon russo convinto della trasformazione degli uomini in cyborg? Non proprio, perché il welfare del futuro prossimo sarà così: robotizzato.

«Il welfare degli ultimi cinquanta anni – spiega, a questo proposito, Roberto Cingolani, direttore scientifico dell'IIT, l'Istituto Italiano di Tecnologia – ha allungato le aspettative di vita. Ciò significa oggi dover garantire una terza e quarta età decenti. Il nuovo welfare, allora, non è solo portare cibo, educazione, assistenza sanitaria, ma offrire una buona esistenza alle persone più anziane. Un tema davvero rilevante è allora quello dell'assistenza fisica in casa: a questo può servire il robot che prende il giornale, accende la tv, porta l'acqua. Ecco chi è l'assistente robotico». Un androide non troppo ingombrante – non sarebbe carino, infatti, veder girare per casa un terminator di due metri – flessibile, cioè capace di reagire agli urti senza cadere e di fermarsi di fronte al tavolo o al divano, e antropomorfo, con mani e dita adatte a usare strumenti pensati per le persone, come un lavandino o un interruttore. Una macchina, insomma, simile a Icub, il robottino dell'IIT di cui esistono già trenta esemplari sparsi per i laboratori di tutto il mondo e intorno al quale, grazie all'utilizzo della tecnologia open source, è nata una vera e propria comunità scientifica.

Però prima che la nonna, invece di discutere con la badante, si metta a dialogare con l'androide ci vuole ancora tempo. Perché la strategia per l'applicazione della robotica alle esigenze di welfare prevede almeno tre tappe.

«La prima – racconta Cingolani – riguarda la riabilitazione delle persone che hanno avuto incidenti, ictus o che per l'invecchiamento hanno bisogno di fisioterapia. Si può fare la fisioterapia del braccio, del polso, della gamba, impiegando l'elettronica e i componenti di un robot molto sofisticato utili per quello specifico distretto fisico. I vantaggi sono enormi. La riproducibilità del movimento di una macchina è superiore a quella del fisioterapista e in più sono macchine con interfaccia bidirezionale, se vedono che il paziente risponde male allo stimolo sono in grado di correggerlo». Al padiglione 1 dell'Ospedale Gaslini di Genova, per esempio, lo scorso aprile è stato inaugurato il nuovo centro riabilitativo, il primo che, grazie alla collaborazione con l'IIT, offra il supporto dei robots per la riabilitazione dei bambini disabili.

I vantaggi? Economici, certo – oggi una macchina per la riabilitazione costa tra i 10 e i 15mila euro, ma riesce a lavorare 24 ore al giorno, sette giorni su sette – ma anche medici: «Con 50 macchine – continua Cingolani – il recupero dei pazienti diventa più veloce perché è possibile prendersi cura di decine di persone in parallelo». Magari in futuro sarà anche possibile per gli ospedali affittare le macchine in modo che il paziente, portandole a casa e collegandole a un computer, scarichi il proprio programma di fisioterapia e faccia riabilitazione in salotto.

Tra lo stadio attuale, però, e il momento in cui ognuno potrà comprarsi un robottino dal concessionario c'è ancora un livello intermedio: l'applicazione della robotica al campo delle protesi. La grande sfida è interfacciare gli arti robotici, perfettamente funzionanti, al sistema nervoso. Ma c'è un problema in più: il consumo energetico. «È noto che un umano consuma pochissimo, con un pezzo di cioccolata, 500 kilocalorie, riesce a muoversi tutto il giorno. Con la stessa quantità di energia – spiega Cingolani - un robot si muove pochi secondi». Una mano, insomma, per essere usata tutto il giorno non può consumare come una lavatrice.

Il terzo stadio della strategia robotica applicata alla cura delle persone, infine, riguarda proprio la produzione dell'assistente robotico. Se oggi il singolo androide ha un costo di sviluppo intorno ai 300mila euro, un domani, quando sarà perfettamente user friendly e realizzato su larga scala, potrà essere venduto come un elaborato apparecchio elettronico al costo di una city car. Una rivoluzione. Non solo in campo medico, ma anche giuridico.

«Un conto è se al letto del malato arriva un carrellino semovente oppure una macchina che ha un sembiante lato sensu umano ed è magari dotato di capacità adattativa, cioè in grado di imparare dall'esperienza» spiega, raggiunto da Strade, Amedeo Santosuosso, Presidente dell'European Center for Law, Science and New Technologies dell'Università di Pavia. Potrebbe essere il caso, per esempio, di un androide impiegato in ospedale. «Immaginiamo il caso che nella stanza del paziente – suggerisce Santosuosso – ci sia un intruso che cerca di impedire al robot di fare il suo lavoro. Il robot si è accorto che al letto del paziente c'è un ventilatore disconnesso e sta andando a ripararlo, ma il malintenzionato cerca di impedirglielo. Il robot fa due cose: chiama i medici e intanto cerca di fare la riparazione. Il malintenzionato però aggredisce il robot e nel farlo si ferisce: può allora chiedere il risarcimento del danno che ha subito e a chi?».

Per rispondere è necessario fare ricorso alle tre leggi di Asimov: un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno; un robot deve obbedire agli ordini impartiti dagli esseri umani, purché tali ordini non contravvengano alla prima legge; un robot deve proteggere la propria esistenza, purché questa autodifesa non contrasti con la prima o con la seconda legge. «In sostanza il malintenzionato deve tenersi i suoi danni – conclude Santosuosso – perché il robot stava compiendo un suo dovere non contro un umano, ma a tutela di un umano». 

La storia, però, non solo descrive un possibile prossimo futuro di coesistenza tra uomo e macchina, ma introduce una riflessione sul principio di responsabilità per quelle azioni frutto di un complesso convergere tra comportamenti umani e robotici: uno dei grandi filoni su cui si interroga la scienza giuridica. «In tutte le diverse possibili integrazioni tra un umano e parti robotiche, quello che accade – spiega Santosuosso – è che si allunga la catena delle responsabilità. Per ognuno dei componenti meccanici c'è un produttore, un venditore, un proprietario e c'è un utilizzatore per i quali va verificata l'esistenza di una responsabilità. Si può indicare un criterio di massima, per cui quanto più ci si allontana dal momento in cui il prodotto è uscito dalla fabbrica e maggiore è la capacità adattativa del robot, tanto maggiore può essere la quota di responsabilità dell'utilizzatore». In sostanza: più la macchina ha la capacità di mutare grazie alle esperienze che l'acquirente le impartisce, tanto più diminuisce la responsabilità del produttore e aumenta quella dell'utilizzatore.

C'è un ambito, però, in cui i robots, preziosi alleati degli umani, non saranno protagonisti: l'assistenza di natura psicologica. «Dubito – sostiene Cingolani – che una macchina possa sostituire un uomo a un livello molto alto e sofisticato. L'essere umano non si sostituisce, ma la macchina può pensare ai compiti più fastidiosi per lasciare alla persone più giovani il tempo di dedicarsi alla cura psicologica dell'anziano o del malato. La strategia è comunque vincente». E lo è soprattutto per quei paesi all'avanguardia nel campo della ricerca robotica, tra cui – ecco la buona notizia – figura anche l'Italia, paese in fondo a tante classifiche ma forse tra i primi – ecco invece la speranza – a poter introdurre il welfare di nuova generazione.