Indipendentemente dalle ricette che verranno adottate, l’incertezza sulle politiche economiche ha un costo ben preciso per il futuro degli investimenti, della produzione e della disoccupazione. Un costo che l’Italia sta pagando per intero, e che qualcuno è riuscito a misurare.

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Gli statalisti con sfumature keynesiane dicono che per risollevare l'economia italiana e ricominciare a crescere sia necessario aumentare la spesa pubblica -specie per investimenti- anche chiedendo deroghe alle severe istituzioni europee. I liberisti –tra i quali sono felice di stare- ritengono invece che la soluzione passi per una riduzione drastica delle imposte, finanziata da un calo altrettanto deciso della spesa.

Sulla direzione da prendere ho messo subito le mie carte in tavola, ma qui non voglio trattare del valore medio delle grandezze di finanza pubblica, ma fare un passo ulteriore nell'arduo mondo della statistica e soffermarmi sulla varianza -la variabilità- delle grandezze di cui sopra, con particolare riferimento al lato della tassazione. Riassumo il mio argomento in una frase: pensatela come volete riguardo alla disputa tra statalismo e liberismo, ma convincetevi che l'incertezza sulle politiche economiche è male per l'andamento futuro dell'economia, in quanto induce consumatori e imprenditori a posticipare -se non ad annullare del tutto- investimenti e consumi.

Dal punto di vista teorico la ragione di questo meccanismo perverso è abbastanza intuitivo: gli acquisti di beni durevoli e di beni di investimento costituiscono una scelta largamente irreversibile, per cui ogni sospetto di situazione economica o tributaria che aumenti nel futuro i costi di quella scelta -maggiori imposte e/o domanda più debole per i propri prodotti- pesa sull'oggi e spinge a NON effettuare quella scelta. Con buona pace della domanda aggregata. A questo proposito, mi sento quasi di ringraziare il governo Letta e la variegata coalizione che lo sostiene per avere mostrato ai cittadini italiani a quali vette rarefatte di incertezza si possa giungere dal lato della tassazione, nella fattispecie con la tassazione immobiliare. La consolazione sta nel fatto che peggio di così non si può fare (spero), e lo dimostra il vortice di sigle che sono state coniate: da IMU a Service Tax, TARES, TASI, TRISE, e infine IUC.

Fortunatamente del tema si sono già occupati con cognizione di causa i Monty Python con l'illuminante sketch intitolato Election Night Special. 

Do il mio benvenuto ai precisini tra voi che giustamente si lamenteranno del fatto che con un argomento teorico e un file su YouTube non si dimostra in maniera conclusiva nulla. Sul tema si comincia però a raccogliere evidenza empirica robusta: mi riferisco in particolare ad un recente articolo recente articolo ad opera degli economisti Baker, Bloom e Davis, i quali mostrano come negli USA un aumento nel grado di incertezza delle politiche economiche si correla con un peggioramento nel futuro degli investimenti, della produzione e della disoccupazione. Spero concordiate con me a proposito dell'ingegnosità del modo in cui gli autori misurano l'incertezza. Tale indice si basa su:

  1. il grado di dissenso tra gli analisti economici sull'andamento futuro della spesa pubblica e dell'inflazione;
  2. il peso in termini di gettito delle leggi e delle esenzioni tributarie che andranno in scadenza  l'anno successivo;
  3. la frequenza mensile di articoli sui quotidiani principali in cui compaiono termini relativi ai temi dell'incertezza, dell'economia e dell'intervento pubblico.

Dal punto di vista del suo macro-andamento, l'indice costruito dai tre autori per il caso degli USA è crescente nel tempo, e presenta dei picchi prima delle elezioni presidenziali, dopo gli attentati dell'11 Settembre, dopo il fallimento di Lehman, e in corrispondenza della crisi dell'Eurozona. Faccio un po' di introspezione: dopo avere letto l'articolo mi sono immediatamente domandato quanto fosse semplice ripetere lo stesso esercizio con dati italiani. Ebbene, gli autori -perlomeno per la parte dell'indice costruita con dati mediatici e con dati del dissenso tra analisti- ci hanno già pensato per tutti i principali paesi europei.

Qui sotto vi riporto il grafico che riporta i dati per l’Italia. Nel breve periodo l’indice raggiunge valori massimi nel novembre 2011 e nel gennaio 2012 (240 punti circa), oscilla ma cala durante tutto il 2012. Che succede nel 2013? L'indice italico di incertezza raggiunge un nuovo minimo ad agosto, per poi risalire esponenzialmente a settembre e ripiegare un poco a ottobre.  Alla facciazza della ripresa economica che così viene spinta tristemente lontano.

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