Renzi ha sempre funzionato perché era un marziano. Diventare segretario di partito lo istituzionalizza, non è più l'outsider. Dopo il congresso, Renzi dovrà superare Renzi. La politica romana dovrà fargli meno schifo.

 

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È finita la prima fase del congresso del Pd, quella delle cosiddette convenzioni, aperte soltanto agli iscritti. Matteo Renzi è arrivato primo, risultato fino a poco tempo fa tutt'altro che scontato (si diceva anzi che avrebbe potuto perdere la consultazione riservata ai tesserati). Seguono, in ordine, Gianni Cuperlo, Pippo Civati e Gianni Pittella. È il segno che il sindaco di Firenze adesso non gode soltanto della fiducia dei gruppi dirigenti che da bersaniani sono diventati renziani nel giro di un anno – senza peraltro dare spiegazioni molto convincenti sulle loro conversioni – ma anche nella mitica base del Pd, in passato poco bendisposta verso il Rottamatore. Rimane, tuttavia, un argomento nelle mani degli avversari interni di Renzi ed è stato subito speso dalla direttrice di YouDem, la tv del Pd, Chiara Geloni, via Twitter: "Al di là del balletto su chi è primo, che Renzi sotto il 50 per cento degli iscritti sarebbe una notizia cla-mo-ro-sa lo vogliamo dire o no?". Lo stile è come al solito polemico verso il sindaco di Firenze, ma anche se la notizia non è cla-mo-ro-sa, il dato è comunque importante. Il 50 per cento è una soglia psicologica; non averla superata consente agli antirenziani di dire: caro Matteo, non hai il partito in mano. Ed è l'argomento di Massimo D'Alema. "C'è una parte significativa del Pd – e in essa tanti giovani – che sostiene Cuperlo con passione e che non si è piegata a questa campagna mediatica", ha detto l'ex presidente del Consiglio all'Unità. E comunque, "se Renzi dovesse diventare segretario, si troverà a gestire un partito che in buona parte dovrà convincere. Non potrà pensare di impadronirsi di un partito che in una certa misura lo osteggia. Dovrà avere la saggezza di rappresentare un mondo più vasto e guadagnarsi il consenso di chi non è con lui e non solo dei suoi seguaci o di qualche editore".

È questa la nuova linea degli avversari che Renzi dovrà affrontare da qui all'8 dicembre e che probabilmente sarà mantenuta anche dopo la vittoria al congresso. La consistenza del risultato e la forza di Renzi segretario dipenderanno da alcuni fattori. Primo, l'entità, cioè la percentuale che alla fine gli verrà attribuita. Secondo, fatto più importante, la partecipazione alle urne, dalla quale dipenderà la sua legittimazione. Se andranno a votare 3 milioni di persone, e Renzi, com'è altamente probabile, vincerà, allora avrà una piena legittimazione. Se invece l'elettorato democratico, un po' stanco e annoiato, deciderà di restare a casa e voteranno soltanto un milione di persone, allora le cose saranno diverse. E saranno diverse a partire dalla gestione dei rapporti interni. Non solo con D'Alema, la cui acidità nei confronti del sindaco è mal sopportata anche dai sostenitori di Cuperlo (e lo stesso Cuperlo ha mostrato di non gradire certe ossessioni crepuscolari). Ma anche con i sostenitori di Renzi. La domanda cui Renzi dovrà dare risposta a partire dall'8 dicembre è questa: riuscirà a resistere ai Dario Franceschini, saliti sul carro per evitare una sicura rottamazione, oppure dovrà correrà il rischio di una normalizzazione? Il sindaco di Firenze ha sempre funzionato e funziona nei panni di marziano, non di conformista democratico. Per piacere alla sinistra, di cui ha bisogno, inevitabilmente è sceso a qualche compromesso. È passato dal dire che il "liberismo è di sinistra" ad attaccare l'eurocrazia finanziaria. Ha preso posizioni a favore della decadenza di Berlusconi, chiedendo il voto palese, ha chiesto le dimissioni del ministro Cancellieri. Posizioni tutt'altro che moderate.

Finora si è mosso da aspirante leader del Pd, impegnato a difendere se stesso e la propria candidatura. Da domani dovrà dare la linea al suo partito e si troverà in mezzo – seppur a distanza, visto che a Roma ci vuole stare poco – alle beghe Palazzo che odia tanto. C'è già chi lo invita a un cambio di passo per non fare la fine di Veltroni quando divenne lui segretario e al governo c'era Romano Prodi e del veltronismo, "cioè l'inefficacia di una promessa mancata", ha scritto Giuliano Ferrara sul Foglio, invitandolo a mettersi i guantoni subito con Letta, che "non fa politica, fa burocrazia europa del tipo soffice, e rammendi, altro che rottamazioni o riforme. Tu lo sai perfettamente. Ti prudono le mani ma hai il timore di esporti". È un invito a fare di tutto perché il governo cada. Ma se il governo cadesse senza una riforma elettorale e senza una riforma costituzionale (la prima, volendo, più rapida, la seconda, molto più lunga, circa 6-7 mesi), e Renzi venisse candidato premier, forse potrebbe pure vincere le elezioni, ma le larghe intese sarebbero di nuovo l'unica soluzione, visto che al momento nessun partito si schioda dalle sue percentuali. Per questo, l'attesa – molto gradita naturalmente a Enrico Letta – potrebbe giovargli. Ma l'attesa potrebbe portargli anche diversi problemi. Anzitutto il rischio è quello del logoramento. Un anno da segretario di partito, del Pd poi, esaurirebbe la forza politica di chiunque. L'altra questione riguarda il futuro di Letta. Se il governo durasse effettivamente fino al 2015 e ottenesse buoni risultati, il presidente del Consiglio potrebbe legittimamente ambire alla ricandidatura. A quel punto ci sarebbero le primarie fra Renzi, Letta e forse un terzo, se è vero, come spiegato dallo stesso D'Alema, che oltre ai due candidati cattolici potrebbe scendere in campo un altro candidato (Nicola Zingaretti? Chissà). Resta il fatto che l'egemonia culturale post-comunista rischia di scomparire, se oltre a non aver saputo esprimere una candidatura vincente per la segreteria, i vecchi dirigenti della filiera corta Pci-Pds-Ds non riuscissero a esprimere neanche una figura autorevole e forte per il prossimo giro di eventuali primarie per la presidenza del Consiglio. Ma se avessero impiegato forze ed energie a cercare qualcuno così anziché inventarsi di tutto in questi anni (ballottaggi all'ultimo minuto come in occasione delle primarie fiorentine, contromanifestazioni nei giorni delle varie edizioni della Leopolda) oggi non si troverebbero in queste condizioni.

Renzi ha sempre funzionato, si diceva, per la sua "marzianità". Diventare segretario di partito lo istituzionalizza, non è più l'outsider che sfida l'establishment ma a sua volta è diventato establishment. Per questo sta cercando di mantenersi intatto, contrapponendo il suo Pd dei sindaci contro il Pd della partitocrazia romana, ripetendo, come ha fatto recentemente da Fabio Fazio a Che tempo che fa, che "io in Parlamento non ci sono mai stato". Fare il deputato e il senatore sembra essere diventata una colpa. Ma è così che va, nell'Italia della classe politica squalificata e dei populismi che l'azzannano.