Candidato a Siena, ma non del PD. Letta è un segretario ellittico, Draghi un Presidente scomodo
Istituzioni ed economia
Enrico Letta, Segretario del PD, nelle elezioni suppletive per il Collegio di Siena, si presenta con una lista senza il simbolo del suo partito. Notizia di queste ore. Il 14 Luglio, quando era stata comunicata la candidatura, all’Ansa aveva dichiarato: “C’è una missione nazionale: dobbiamo vincere per dare un messaggio forte alla Toscana e al paese e per avere un segretario in Parlamento”. Dove, come si vede, invece la qualità politica e la responsabilità istituzionale erano ritenute un tutt’uno (“per avere un segretario in Parlamento”).
Già un paio di settimane dopo, si registrava una volontà di “ricercare l'unità più ampia possibile.”. Ma non era ancora stato chiarito che la più specifica e significativa veste dell’illustre candidato, risultava ostativa all’auspicata massima “ampiezza nell’unità” (o “unità nell’ampiezza”: è uguale, tanto assomiglia comunque più ad una teofanìa che ad una formula politica). Ora, l’epilogo ellittico. E puó darsi che la mossa, risulti tatticamente efficace. Anche perché, Siena vuol dire MPS, e questo, PD. Fuga per la Vittoria. “Altrimenti vincono le Destre”. Vabbè.
Il punto è peró un altro. Ci aiuta a coglierlo, suo malgrado, il Prof. Piero Ignazi, Superpolitologo “d’area”, dando veste “dotta” a un certo mood: su “Domani” (il cui Editore, per inciso, ha agito sulla Democrazia “dei partiti” con la stessa proprietà nutritiva dell’acido muriatico), ha accusato Draghi di incarnare il ritorno del qualunquismo: cioè, del “desiderio di mettere la mordacchia a quelle cose fastidiose che sono le formazioni partitiche”. Peraltro, già a maggio, fra lo stesso Letta e Draghi, si doveva già lavorare a un “disgelo”, secondo la pur benevola notazione di Stefano Folli: a confermare che, anche in sede strettamente politica, in quei giri il premier è un “tollerato di rango”.
La “mordacchia” ai partiti, Draghi? Quello che Draghi sta facendo, a partire da una condizione data, e non da lui determinata, in effetti, è cercare di cavare acqua dalle pietre. Vale a dire, agire secondo razionalità per l’interesse comune, mentre dei nichilisti di massa sono al 33% in Parlamento, due avventurieri assortiti (Meloni e Salvini) quasi al 30, FI è nel loop del “manda la posizione/dimmi dove e quando”, e il Segretario dell’unico (ex?) Partito rimasto, per “ricercare l'unità più ampia possibile”, ritiene indispensabile presentarsi ad una elezione, già stimata degna di una “missione nazionale”, politicamente (e “partiticamente”) in incognito.
Ma il peggio è che, nel partito, in quello che fu “Il Partito”, dicono che va bene così. E, a quanto pare, pure fra la sua intelligencija, tutta presa dal “qualunquismo di Draghi”. Perciò, il punto, è di ordine logico e, volendo, anche un pó etico (“sia il tuo dire, sí, sí; no, no…”, oppure “come potrai dire al tuo fratello: permetti che tolga la pagliuzza dal tuo occhio, mentre nell'occhio tuo c'è la trave?”)
Francamente, si tratta di un’aria dissolvente, un’atmosfera da notte fonda: dove una parola, un pensiero, non riescono a reggerne un altro, e forse neppure a reggere solo se stessi. Una specie di condizione tellurica permanente. E l’accennato travisamento sul “qualunquismo” ne costituisce solo un esempio, per quanto lampante.
Mi pare evidente, allora, che, in uno spazio politico-culturale in cui si afferma di temere per l’attitudine democratica di Draghi, “altrimenti vincono le Destre” non è nemmeno uno slogan da rentier dello spauracchio: è solo infantilismo agonistico mascherato da competizione politica.
“Ieri”, era senz’altro meglio.