Tassare i robot per salvare il lavoro? Un'illusione pericolosa
Innovazione e mercato
Un nuovo spettro si aggira per il mondo globalizzato: la distruzione del lavoro a causa dei robot. Nei giorni scorsi il fondatore di Microsoft, Bill Gates, per esorcizzare questa nuova minacciosa entità, ha lanciato la proposta di una tassa sulle automazioni, attraverso la quale ricavare risorse da redistribuire a chi, appunto, ha subito le conseguenze traumatiche della rivoluzione tecnologica.
Se non altro, la proposta consente di constatare come l'aver inventato il pacchetto office che ha distrutto i posti di lavoro di eserciti di vecchi e qualificatissimi ragionieri contabili, sostituiti da poche giovani e avvenenti segretarie munite di un pc e di un foglio di calcolo Excel, non necessariamente implica avere altrettanta capacità di visione nelle questioni economiche.
Vediamo. Tesi: i robot sostituiranno il lavoro umano in gran parte delle attività meno qualificate e anche in molte di quelle qualificate. Ne consegue, sostengono i più allarmisti, che i vecchi lavoratori umani, sostituiti dai robot, rimarranno senza salario e dunque non potranno pagare i beni e i servizi necessari a sopravvivere, figurarsi quelli superflui. Privi di reddito, non potranno nemmeno acquistare i beni prodotti dagli umani dei paesi emergenti, che andranno in crisi privati dei propri principali clienti. Et voilà, il patatrac economico globale è servito, come si evidenzia dall'equazione robot = niente salari = niente consumi = fine dell'economia.
Dobbiamo quindi aspettarci l'estinzione della razza umana e l'avvento di un mondo colonizzato da robot? Per capire che non succederà, e che tutta questa discussione sui robot è frutto di una specie di strana allucinazione intellettuale, basta esaminare come funziona un'impresa. Il valore che produce è la differenza tra i ricavi dalle vendite di beni e servizi, e tutti i costi di produzione, comprese le materie prime, il costo del lavoro, gli affitti, gli ammortamenti, ecc. Questo importo è precisamente ricchezza creata dal nulla, perché è il prodotto del gioco a somma positiva degli scambi, in cui venditori e acquirenti attribuiscono un valore diverso (per ciascuno vantaggioso) al prezzo dello stesso bene. Quando nel processo di scambio i prezzi concordati dei beni, tra chi offre e chi acquista, sono più alti dei costi totali di produzione, si genera appunto il profitto, che è una quota di valore ex novo che va a sommarsi a quello complessivo di un'economia.
Qualsiasi impresa, interamente manuale o interamente robotizzata che sia, non può che sottostare alla ferrea legge dello scambio e della ricerca di valore aggiunto. Le innovazioni tecnologiche, di qualsiasi tipo, che hanno successo, sono quelle che generano maggior valore aggiunto, aumentando il volume di scambi tra operatori economici (famiglie e imprese), e allargando la gamma di scelte possibili e riducendo i costi per i consumatori o per gli investitori. Dal momento in cui invece il volume di scambi di un'impresa si riduce, e il valore aggiunto che crea diventa negativo, per quanto abbia fatto ricorso alle tecnologie più futuristiche, sarà condannata a uscire dal mercato e fallire.
Tutto ciò premesso, è evidente che l'alternativa tra economie basate sul lavoro umano e economie robotizzate è fallace. L'unica distinzione possibile, a prescindere dalle tecnologie utilizzate, è quella tra economie produttive - che vedono pertanto crescere i volume scambi e il loro valore aggiunto complessivo - ed economie improduttive che si impoveriscono perché distruggono ricchezza finanziando attività ormai obsolete.
Il progresso tecnologico non distrugge mai lavoro, se non quello diventato improduttivo e non necessario per consumatori e imprese alla luce di nuove possibilità di scelta. Privare gli attori economici di nuove possibilità di scelta e opportunità di business rese possibili dalle nuove tecnologie - tassando beni capitali (come appunto i robot) o vietando a imprese innovative come Uber di operare - significa solo sussidiare, a spese della collettività, qualche categoria produttiva diventata ormai improduttiva, garantendo una rendita di posizione.