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Il dibattito attorno agli Organismi Geneticamente Modificati non si è certo distinto in questi anni per qualità, specie nel nostro paese. La politica nostrana su questo tema ha spesso cavalcato, se non addirittura costruito, campagne utili a capitalizzare voti sulle paure della gente, o sugli interessi di gruppi di pressione, piuttosto che a capire i reali contorni del problema e a gestirlo in modo appropriato.

Una svolta a questa narrazione anti-OGM a buon mercato, e soprattutto senza contradditorio, è stata impressa dalla senatrice a vita Elena Cattaneo che, da ricercatrice, ha tentanto di portare nel dibattito parlamentare sui temi a sfondo scientifico anche il metodo tipico della scienza, un metodo che richiede che le conclusioni siano sostanziate dai fatti e non che i fatti siano decisi dalle conclusioni. Questo ha senza dubbio creato un certo scompiglio in un parlamento pronto a votare compatto e convinto qualunque provvedimento o norma a patto che sia contro gli OGM, senza se e senza ma. La senatrice ha inoltre costretto, negli ultimi mesi, l'attuale Ministro alle Politiche Agricole Maurizio Martina ad uscire allo scoperto argomentando la posizione italiana su questo tema.

Il dibattito ora si sta allargando e, finalmente, anche altre realtà che appartengono al mondo della scienza riescono a trovare uno spazio all'interno del confronto. Oggi Strade ospita la lettera che l'Associazione Nazionale Biotecnologi (ANBI) - che rappresenta oltre 1.500 professionisti del settore - ha inviato a Presidente del Consiglio e al Ministro all'agricoltura. Ci auguriamo che, nonostante il caldo, ci sia lo spazio per una riflessione.

Gentilissimo Sig. Presidente del Consiglio,
On.li Ministri,
On.li Senatori,
Sono a scriverVi, in merito al dibattito scaturito mezzo stampa nelle scorse settimane tra l’On.le Ministro Maurizio Martina e la On.le Sen. Prof. Elena Cattaneo sul tema della ricerca pubblica sugli OGM. Mi permetto di appellarmi alla Vostra cortese attenzione perché, come Presidente dell’Associazione Nazionale Biotecnologi Italiani, una associazione professionale composta da oltre 1500 professionisti nel settore delle biotecnologie, da 15 anni lavoriamo per un dibattito che parta dalla scienza, su questo e su molti altri temi chiave per il Paese quali l’uso delle cellule staminali o il ruolo delle vaccinazioni.

Più di quindicimila persone, a partire dal 1994, hanno intrapreso nel nostro paese una carriera nelle biotecnologie scegliendo di diventare dei professionisti dell’innovazione medico-farmaceutica, agro-alimentare, veterinaria e industriale. Lo hanno fatto seguendo la propria passione per la scienza e la voglia di dare il proprio contributo per rispondere alle sfide che ci attendono.

I messaggi lanciati dai diversi Governi e Parlamenti che si sono succeduti in questi anni, quasi sempre senza distinzione di colore o provenienza politica, hanno però sottolineato con chiarezza lo scarso interesse, se non una vera e propria ostilità, verso l’innovazione e verso coloro che si adoperano per promuoverla in campo. Fino a 15 anni fa, i nostri ricercatori potevano lavorare, sperimentare e proporre nuove soluzioni per la nostra agricoltura, e l’Italia aveva saputo raggiungere un’eccellenza riconosciutale globalmente in questo settore. Oggi un buon progetto, nato tra le mura delle nostre Università o dei nostri Centri di Ricerca, sa già, a prescindere, che non potrà mai uscire da un laboratorio se prevede l’uso di OGM, una sigla che ha valore giuridico ma, ricordiamolo, nessun significato scientifico. Tutte le innovazioni su cui i nostri ricercatori stavano lavorando già 15 anni orsono, e ideate per salvare i nostri prodotti tipici, quelli grazie ai quali il Made in Italy e la tradizione culinaria italiana può davvero essere tale, come il pomodoro San Marzano o il riso Carnaroli, sono state raccontate efficacemente in un volume scritto in quegli anni dal prof. Sala dell’Università di Milano. A poco è servito, se non a consegnarci memoria di questa capacità di innovazione che il nostro Paese aveva e che ha rifiutato, preferendo piuttosto rinunciare ad alcuni di essi, come il San Marzano originale, e per molti altri affidandosi all’agrochimica. Prodotti tipici e innovazione però sia chiaro non sono necessariamente in antitesi. Si è deliberatamente scelto che lo fossero e si è forzato un dibattito.

L’ultimo atto di questo rifiuto si è consumato nel 2012 con la distruzione forzata degli ultimi campi sperimentali pubblici italiani.
Distrutti senza alcuna ragione tecnica, rischio reale o riflessione sulla loro utilità. Quelle sperimentazioni pubbliche, pagate dai cittadini italiani, potevano aiutarci a capire se ha davvero senso dire no all’uso degli OGM. Ulivi, ciliegi, kiwi, furono distrutti, dopo 14 anni di coesistenza pacifica, per un cavillo. Eppure bastava scrivere su di un foglio due righe per salvarli. Furono a gran voce chieste. Anche da noi. Non ci furono nemmeno rifiutate, adducendo una motivazione. Semplicemente non arrivarono.

Questo ci conduce al paradosso di oggi. L’Italia ha deciso, con le proprie politiche dissennate, di mortificare i propri ricercatori e le proprie Università impedendo loro di fare ricerca sugli OGM, ma allo stesso tempo ha deciso di non rinunciare ad usarli. Dice bene la Professoressa Cattaneo quando ricorda che l’Italia importa ed usa tonnellate di OGM (4 milioni solo per la soia) per alimentare gli animali da cui si ricavano i nostri prodotti di punta apprezzati in tutto il mondo. L’uso di OGM dopotutto, come emerge dalle oltre 15.000 pubblicazioni scientifiche sul tema, ma anche dai dati raccolti in oltre 15 anni di utilizzo, non presenta particolari rischi per la salute o per l’ambiente, come già ampiamente sottolineato dalle principali Società Scientifiche italiane attraverso due Consensus Document pubblicati nel 2004 e nel 2006.

Il nostro Paese ha però sistematicamente deciso di ignorare su questo tema la scienza, con il solo risultato di precludersi la possibilità di guidare l’innovazione del settore agricolo, finendo per subirla importando a caro prezzo quella prodotta altrove. Non dimentichiamo che abbiamo formato e continuiamo a formare migliaia di giovani in questo settore, per poi negare loro l’esercizio della propria professionalità, invece di chiedergli di metterla a frutto per costruire una via italiana allo sviluppo agricolo da proporre anche al di fuori dei confini nazionali.

Siamo d’accordo con l’On.le Ministro Martina quando sottolinea come “la discussione sugli OGM [...] non rappresenta né l’unica né la più rilevante attività nel mondo della ricerca in agricoltura”: a renderla centrale è però il suo impatto sul piano culturale, in quanto emblematico della sensibilità che le nostre Istituzioni hanno verso la ricerca e verso i giovani che in essa credono, che sempre meno riescono a trovare opportunità all’altezza delle loro aspettative. La stessa Carta di Milano, voluta così fortemente proprio dal Suo Governo, Sig. Presidente, impegna le Istituzioni a “aumentare le risorse destinate alla ricerca, al trasferimento dei suoi esiti, alla formazione e alla comunicazione”. Come Biotecnologi, di questo vorremmo parlare. Non ci appassiona il dibattito pro vs contro, ci interessa lavorare per la competitività del nostro paese valorizzando al meglio le competenze di tanti ricercatori e professionisti che vorrebbero mettersi al servizio del Paese invece di fuggire all’estero.

È vero, come dice l’On.le Ministro Martina, che gli OGM non bastano: serve infatti molto di più. Serve soprattutto una politica che sappia mettere al centro delle sue decisioni la scienza e non che la pieghi a posteriori ai suoi desiderata. Solo così si potrà avere un dialogo vero e non ideologico sugli OGM, e sui mille altri temi su cui oggi siamo ancora fermi al palo. Solo così facendo si può costruire un futuro sostenibile che non siano gli altri a dettarci, ma che nasca partendo dal lavoro delle nostre menti migliori.

Con i più distinti e calorosi saluti, e nella speranza di ricevere da Voi un gradito riscontro,

Daniele Colombo
Presidente
Associazione Nazionale Biotecnologi