Dopo il boom del 2013, oggi le sigarette elettroniche stanno vivendo una seconda primavera. Due milioni di consumatori e decine di migliaia di posti di lavoro, solo in Italia, in un settore che, per tipologia di mercato, caratteristiche dei prodotti ed effetti sulla salute, non può essere accomunato a quello del tabacco. Servono norme chiare, certe, stabili, ma diverse da quelle che regolano le sigarette tradizionali. Il successo di Vapitaly e i nuovi orizzonti in campo medico.

Quercetti vaping

È un settore recente, nato all'improvviso e senza regole, ma che fattura centinaia di milioni di euro e dà lavoro a decine di migliaia di persone soltanto in Italia. Che, non a caso, è considerata tra i Paesi d'eccellenza del settore. Stiamo parlando del vaping ovvero della sigaretta elettronica e di tutto ciò che ruota attorno ad essa: batterie, liquidi di ricarica, nicotina, aromi.

Secondo i dati diffusi dall'Istituto superiore di sanità, i vapers - gli utilizzatori di sigaretta elettronica - in Italia sono circa 2 milioni (il 4 per cento della popolazione), un numero che fa segnare un incremento del 370 per cento rispetto al 2015. Un dato che riporta il settore ai livelli del 2013, anno del boom, quando era il 4,3 per cento della popolazione ad utilizzare la ecig. L'anno scorso, invece, era un risicato 1,1 per cento.

In Italia sono circa 80 le aziende di media e piccola dimensione che producono i liquidi di ricarica per rifornire gli oltre mille punti vendita specializzati. Undici sono invece le imprese aderenti a Confindustria. Il Piemonte è la Regione con la più alta incidenza di aziende: sulle undici iscritte alla Confederazione di Viale dell'Astronomia, ben quattro hanno sede in territorio sabaudo.

A dimostrazione di come l'Italia stia diventando un punto di riferimento europeo, è sufficiente citare i dati dell'ultima edizione di Vapitaly, la fiera del settore, che si svolge annualmente a Verona. L'edizione 2016 ha segnato un vero e proprio boom di visitatori. Quasi 10mila persone in occasione della tre giorni fieristica sono entrate in contatto con gli oltre 250 marchi rappresentati. I numeri hanno collocato quella italiana al primo posto tra le fiere europee del settore.

Consumo e consumatori in crescita, dunque, nonostante una normativa estremamente penalizzante appena entrata in vigore (la Tpd, Direttiva europea sui prodotti del tabacco) e una fiscalità "ballerina" governata ormai da tre anni dalle sentenze dei tribunali amministrativi e della Corte Costituzionale. La Tpd regolamenta la sigaretta elettronica come un prodotto derivato dal tabacco, anche se non ha nulla a che fare con il tabacco. I liquidi di ricarica sono infatti composti da glicole, glicerina (prodotti farmaceutici da banco) e aromi naturali, spesso ad uso alimentare. Per dirla con le parole di Riccardo Polosa, tra i medici più autorevoli del settore, professore presso l'Università di Catania, "la Tpd risulta essere farcita di misure arbitrarie e sproporzionate che non tengono assolutamente conto delle evidenze scientifiche. Se da un lato una corposa produzione scientifica ha più volte dimostrato che l’elettronica consente a milioni di fumatori di smettere di fumare, dall’altro la normativa considera questo strumento come un classico prodotto da tabacco. Una ampia diffusione delle elettroniche potrebbe salvare migliaia di vite ed il legislatore ha l’obbligo etico e morale di produrre una regolamentazione equilibrata".

Le evidenze scientifiche dimostrano come la vaporizzazione non abbia nulla a che vedere con la combustione da tabacco. Le migliaia di sostanze tossiche sprigionate da una sigaretta non esistono nella versione elettronica. Anche per questo motivo la sigaretta elettronica sta vivendo una seconda fase di sviluppo: l'utilizzo per scopi terapeutici ovvero come strumento per la somministrazione di principi attivi. A cominciare dai cannabidioli utilizzati essenzialmente nella terapia del dolore.

Il professor Varlet dell'Università di Ginevra ha recentemente pubblicato una ricerca secondo cui il metodo migliore per somministrare cannabis è la vaporizzazione perché consente all’organismo di assumere direttamente il principio attivo in maniera pura e diretta, senza cioè alcun pericolo di “contaminazione”, ad esempio con cartine e soprattutto tabacco e, comunque, senza gli effetti della combustione. Anche in polvere la cannabis risulta meno nociva che fumata, ma la sostanza impiega più tempo per essere assorbita nell’organismo. Tramite la vaporizzazione, invece, il principio attivo entra nell’organismo attraverso assorbimento nel palato, arrivando direttamente nel sangue del paziente, mentre le pastiglie interagiscono a livello gastrico.

Il professor Varlet ha spiegato che “a parità di concentrazione di Thc occorrono 100 aspirazioni di ecig per avere l’equivalente di una sigaretta alla cannabis. Ma con implicazioni per l’organismo molto differenti. La vaporizzazione trasporta la sostanza attiva in maniera diretta, mentre la combustione, oltre a disperderla anche nell’aria, la inquina con le tossicità di cartina e tabacco”. Una nuova frontiera di applicazione che sta appassionando – e impegnando - la comunità scientifica. Questo fa pensare che il libro sul vaping abbia ancora molte pagine da scrivere.

Le associazioni di categoria stanno da tempo chiedendo una regolamentazione ad hoc per l'intera filiera della sigaretta elettronica. Come sono solite ripetere, il vapore non è fumo. Ma prima di tutto occorre che il legislatore prenda coscienza di tale evidenza: continuare a sottostare a norme pensate e scritte per combattere il fumo è causa soltanto di imbarazzi normativi ed errori di interpretazione. Come dire: regole sì, ma regole chiare e certe scritte su misura per un settore che non è e non vuole essere affiancato al tabacco. Vuole essere, semmai, un'alternativa.