Se vincesse il No, il giorno dopo
Un divertissement o poco più, per dire una cosa che di divertente ha poco o nulla: tra i punti deboli della riforma costituzionale c’è lo scenario da incubo in cui ci lascerebbe l’eventuale bocciatura del referendum. Altro che Brexit.
Un giorno di ottobre o di novembre, a Roma cade la pioggia e scende la notte. Maratona elettorale. Le luci azzurre e verdognole del TgLa7 si accendono intorno alle 22. C’è Chicco Mentana, il direttore, la voce pimpante del momento storico: è in gran fibrillazione. In studio la solita sfilata di giornalisti: Damilano, Travaglio, Bechis, Cerasa, Sorgi. Altri si aggiungeranno dopo, la notte è lunga. E poi i collegamenti: Celata nel Comitato del No dei 5 stelle, la Sardoni da Renzi, gli altri disseminati tra Lega Nord, Forza Italia, Sinistra Italiana.
Un’ora di riscaldamento, di supposizioni e di voli pindarici, poi gli exit poll: è testa a testa. Il contatore indica 51-49 per il No. Dalla regia avvertono che la RAI propone dati ribaltati, con il Sì avanti di un soffio. Sembra la notte della Brexit, osserva qualcuno. Sui social non si aspettava altro, partono i commenti: “Ancora presto per dare giudizi” dicono i prudenti con fare paraculo; “è solo un exit poll” whatsappano i renziani ai giornalisti che li tormentano. “Il paese sarà comunque spaccato, Renzi tragga le conclusioni”, battono i militanti della sinistra PD, “Renzi a casa!” risuona in coro dalla destra ai 5 stelle.
In studio, così come nelle case dei sintonizzati, fioccano ipotesi e possibili scenari. Il Paese vive attimi d’italianità: siamo al bar. La discussione s’accende, gli scenaristi si moltiplicano, gli esperti si manifestano in massa, quelli che ce l’hanno con esperti e scenaristi ancora di più, qualcuno piange, qualcuno strilla.
Su Rai1, Bruno Vespa è il primo a dare le proiezioni: 50,5-49,5. Prime proiezioni anche su La7: il No al 51. Iniziano le speculazioni in studio, cosa fa Renzi? Si dimette subito? E il PD? Chi epurerà chi? E Mattarella, cosa pensa Mattarella? Silenzio. Nessuno sa, tutti parlano. Passano un paio d’ore, qualche milione d’italiani va a dormire pensando che l’indomani inizia una nuova settimana di lavoro. “Per fortuna c’è la Champions League in settimana”, dice un figlio al padre. “Tanto continueranno a mangiare come hanno fatto finora, o mangia uno o mangia l’altro, a noi cosa cambia?”.
Arrivano proiezioni più accurate: No in vantaggio per 51,5 a 48,5. Cosa ha sbagliato la campagna per il Sì? Di chi è colpa? Della Boschi, dice qualcuno, che ultimamente non ne ha azzeccata una in TV, altri sibilano la parolina magica più citata degli ultimi mesi, “personalizzazione”: non un voto per la Costituzione, ma contro Renzi. Beato chi ci crede. I commentatori destri dicono che la colpa è dei salotti della sinistra, amici del premier ma non troppo, che con la loro autoreferenzialità da quartieri alti hanno fatto sgonfiare la campagna. I renziani, con sguardi contriti, dichiarano: la colpa è del vecchio PD che ha ucciso il sogno della Leopolda a colpi di guerre intestine, moralismo e disaffezione territoriale.
Alle 2 e qualche minuto il risultato è inequivocabile, proprio come la Brexit: il No vince 52 a 48. Si susseguono i titoli dei giornali. Repubblica “Gli Italiani non cambiano la Costituzione”, Il Corriere “Referendum: vince il No, Renzi al Quirinale”, Il Fatto Quotidiano “Renzi a casa, ora nuova stagione per il paese”, con foto di Di Battista e Di Maio che si abbracciano. Il Giornale “Renzi annientato. Via dal governo”, Il Foglio “Un esecutivo tecno-nazareno per salvare il Paese dal populismo”.
Ore 2:30: nella sede del PD appare un Matteo Renzi livido. Ma lui ha già dimostrato di saper perdere: “Ci abbiamo messo il cuore, l’Italia ha scelto una cosa diversa. Il nostro cammino non finisce, ma la politica deve essere seria: ci ho messo la faccia, ho perso. Domani rassegnerò le mie dimissioni da Presidente del Consiglio”. Da Presidente del Consiglio, specifica, non da segretario del PD.
Le notizie sull’Italia rimbalzano sui media internazionali, da qualche mese il Paese è sotto osservazione per la grave situazione delle sue banche e l’instabilità politica peggiora la percezione. All’alba, riaprono le borse asiatiche. Sale lo spread, male le banche italiane. Ore 9, Milano: Piazza Affari perde il 5%. Francoforte cede il 3, Parigi il 2. Hollande telefona alla Merkel, entrambi telefonano a Mattarella. È solo l’inizio della danza. Buongiorno da Bruxelles, Jean Claude Juncker: “Italia torna Paese a rischio, condizioni politiche incerte”. Si aprono le fabbriche, Confindustria: “Ora governo che salvi le riforme” Corre lo spread che risale sopra i 200 punti base. Fitch e Moody’s fanno sapere: “Posizione dell’Italia sotto osservazione”. L’Economist, in homepage: “Unfit to reform”.
E va bene, ma adesso che succede? Toto-nomi: Padoan in pole, poi l’ipotesi Amato, come sempre. Qualcuno pensa a Draghi, ma Draghi non pensa a Draghi. Chi ci sta a fare il governo? ALA con Verdini ha già la lista dei sottosegretari, idem Zanetti con la fu Scelta Civica. NCD si è già frantumato nelle settimane precedenti, ma quel che resta del movimento di Alfano è in trincea per il sottogoverno, e poi esuli, responsabili, indipendenti vecchi e nuovi.
Il PD parla con decine di voci discordanti. Si va da Berlusconi, ancora lui, l’eterno ritorno al centro della scena. “Costruire una destra responsabile e moderata per il Paese, salvare i risparmi degli italiani, far valere le riforme di libertà che solo noi possiamo garantire!”. Il Cav. ci starebbe a fare un governo di coalizione con Renzi, ma Forza Italia perde pezzi a destra. Santanchè e Brunetta guidano la rivolta, paura. Parte l’operazione “Governo di scopo” per discutere una legge elettorale proporzionale e ripararsi dagli attacchi speculativi.
Iniziano le trattative: Provincellum, Ispanicum, Mattarellum, Italicum 2.0, Tedescum. Gianfranco Rotondi invoca la Prima Repubblica, Paolo Cirino Pomicino spiega ad Omnibus i sistemi elettorali. Massimo D’Alema, nelle dodici interviste rilasciate in pochi giorni, si dichiara preoccupatissimo: “È stato da irresponsabili portare il paese a questa situazione, ma la strada delle riforme può ora partire davvero”. Gattopardismo allo stato puro. Nei talk show impazzano i 5 Stelle: Di Maio candidato premier già lancia strali contro inciuci e governicchi, Dibba alla guida del Movimento.
E la destra? Senza uno straccio di progetto, felice ma non troppo, perché senza l’alibi dell’opposizione a Renzi i nodi vengono al pettine. Salvini e Meloni appaiono quanto mai inadeguati al momento, altri sono deboli. E adesso che si fa? Boh. Festeggiano i giovani di Forza Italia, qualcuno spera di fare il deputato. Intanto Salvini limona con Di Maio: “Ora dialogo contro questa Europa e il governo tecnico. Serve un governo senza PD e i suoi amici”. Ancora: “Berlusconi si goda la pensione”.
Già, e nel PD che succede? Non c’è una guida. Non si trova un renziano nemmeno a pagarlo, il telefono più caldo è quello di Franceschini, che è tornato a fare l’amore con Letta (di ritorno dall’esilio parigino) e Bersani. I magistrati hanno mandato avvisi di garanzia a 4-5 sottosegretari appena dimissionari, tutti meridionali tranne uno. Nel frattempo, in una settimana Milano ha perso il 12%, lo spread è ai 300 punti base. Draghi: “La BCE può comprare titoli di Stato per fermare la crisi, per ora, ma rinviare le riforme aggraverà la situazione”. L’eterno ritorno del passato con assassinio politico: Renzi fa come Cincinnato in attesa di essere richiamato, si sente un po’ De Gaulle a Londra, ma per ora resta fuori dai giochi.
I sondaggi, dopo una settimana, segnano: M5S 35%, PD 24%, FI 14%, LN 13%, SI 6%, FDI 5%. Se si vota con il proporzionale, due possibili scenari: il Nazareno resiste debole e assediato oppure alleanza tra 5 Stelle, Salvini e Meloni. Sistema rovesciato, governo a stelle nero-verdi. In questa opzione c’è il seguente accordo di governo: via la legge Fornero, reddito di cittadinanza, patrimoniale sui ricchi, banche nazionalizzate, nessun vincolo europeo da rispettare, debito pubblico da sfondare. In Europa trattano Di Maio e Salvini.
Auguri. La Merkel gode, il Fondo Monetario Internazionale si prepara alla seconda “Operazione Tsipras”. Il populismo al governo non paga, arriva la Troika con il piano di rientro. Fine dei giochi. Fermi tutti, riavvolgiamo il nastro e accontentiamoci del governo tecnico, che fa meno paura. L’elemento peggiore della riforma costituzionale? Il bivio a cui ci sta portando. In bocca al lupo a noi italiani.
INDICE Luglio/Agosto 2016
Editoriale
Monografica
- I poteri del nuovo Senato, tra reale e percepito
- La questione del governo. Quanto è lontano il ‘48
- Critica di una riforma
- Con la riforma ci sarà più, non meno democrazia
- Se vincesse il No, il giorno dopo
- Referendum, un sì contro il NIMBY
- Tutti i tic della campagna referendaria
- Italia, si cambia. Intervista a Giovanni Guzzetta
- L'insostenibile leggerezza del No
- La Costituzione del debito pubblico e dei diritti acquisiti
- Italia, quale federalismo?
Istituzioni ed economia
Innovazione e mercato
- Milano is the new Londra. Perché no?
- Troppo neoliberismo? Tranquilli, arriva l’albo dei pizzaioli
- Il vaping non è fumo. La rivincita delle sigarette elettroniche