La libertà religiosa? È una questione politica
Quasi due miliardi di persone vivono in Paesi che violano o limitano molto fortemente la libertà religiosa. Ma anche in molti paesi in cui le libertà civili sono garantite, quella religiosa è sottoposta a più pesanti restrizioni. Non sempre pluralismo etico-politico e pluralismo confessionale procedono o arretrano di pari passo. Ecco la mappa che emerge dal rapporto del Pew Research Center's Forum on Religion & Public Life.
Qual è lo stato di salute della libertà religiosa nel mondo? A giudicare da un recente rapporto del Pew Research Center's Forum on Religion & Public Life, organismo indipendente di ricerca, quella che Alexis de Tocqueville considera "la prima, la più santa, la più sacra di tutte le libertà umane" (discorso pronunciato alla Camera dei deputati francese il 28 aprile 1845) soffre rilevanti limitazioni nella maggior parte degli ordinamenti giuridici.
Il rapporto del Pew Forum è stato elaborato tenendo conto di alcuni fattori obbiettivi capaci di misurare – ordinamento per ordinamento – le restrizioni imposte dai poteri pubblici alla libertà di credo, di coscienza e di culto: il tenore delle norme costituzionali, le disposizioni delle leggi ordinarie e la loro concreta applicazione giurisprudenziale e nella prassi amministrativa, i report annuali sui diritti umani prodotti da agenzie governative o non governative. Sulla base di questi dati sono stati elaborati indici numerici che consentono di comporre quattro diversi insiemi: l'insieme dei Paesi in cui le restrizioni alla libertà religiosa sono molto alte (A), quello dei Paesi in cui tali restrizioni devono essere considerate elevate (B), quello dei Paesi dove le limitazioni alla libertà religiosa sono moderate (C) o basse (D).
L'insieme (A) è composto da 24 ordinamenti giuridici: tra questi la Russia, oltre a sei Paesi africani e a diciassette Paesi asiatici (tra cui la Cina e l'Indonesia). Il primo dato che balza all'occhio è dunque relativo al fatto che circa due miliardi di persone vivono in Stati che prevedono restrizioni molto elevate alla libertà di religione; il secondo è che – se si incrociano i dati con il rapporto sulle libertà civili e politiche nel mondo redatto da Freedom House nel 2013 – l'elenco dei 24 non è poi così scontato.
Se infatti molti degli ordinamenti inseriti nell'insieme (A) sono ritenuti not free dal rapporto di Freedom House - e dunque sono caratterizzati dalla tendenza a limitare in modo sensibile non solo la libertà religiosa, ma in generale tutte le libertà civili e politiche - vi sono anche eccezioni piuttosto significative.
Quella più evidente è senza dubbio rappresentata dall'Indonesia, in cui l'indice di limitazioni alla libertà religiosa imposte dai pubblici poteri è sensibilmente più alto dell'indice di restrizioni alle altre libertà civili e politiche (tanto che Freedom House indica l'Indonesia come uno Stato free, libero, esattamente come l'Italia – seppur con indici diversi). È evidente, dunque, che nel contesto indonesiano la libera estrinsecazione della propria fede religiosa non gode delle stesse guarentigie previste per altre situazioni soggettive, e ciò è indubbiamente legato ad una visione negativa del pluralismo confessionale in un contesto di sostanziale favore per il pluralismo etico ed ideologico.
Quanto evidenziato per l'insieme (A) vale in modo ancor più evidente per l'insieme (B), nel quale sono compresi ordinamenti classificati free dal rapporto di Freedom House ed anzi caratterizzati da ampie guarentigie generali per le libertà civili e politiche: ci riferiamo essenzialmente al Belgio e ad Israele. Il Belgio viene valutato negativamente non solo per la legge diretta ad impedire l'uso di abbigliamento religioso capace di occultare il viso, ma anche in virtù dell'opera di monitoraggio amministrativo sui culti presenti nel Paese, al fine di operare una distinzione tra confessioni (libere di operare) e "organizzazioni settarie" (sottoposte a notevoli controlli). Quanto a Israele, oltre ai problemi generali del sistema del millet (primo tra tutti una certa predominanza dei diritti del gruppo su quelli del singolo), è evidentemente il sistema normativo in tema di matrimonio e divorzio a creare questioni ritenute di elevata criticità.
Al di là delle peculiarità di ogni singolo ordinamento, se si prendono per buoni i risultati del Pew Forum, è peraltro evidente – soffermandosi in modo più analitico anche sull'insieme ( C) – che la libertà religiosa soffre (anche e soprattutto in Europa) di limitazioni generalmente maggiori rispetto alle altre libertà civili e politiche. Il problema è che, quantomeno in Europa, il riconoscimento del diritto di libertà religiosa - garantendo l'esistenza di una sfera intangibile di facoltà connesse al rapporto tra l'uomo e il sacro - finisce spesso con il confliggere con una serie di posizioni giuridiche soggettive poste a presidio di quei principi/valori sui quali le liberaldemocrazie si fondano.
La libertà religiosa, infatti, ben lungi dal rappresentare esclusivamente la mera astensione dei poteri pubblici dall'interferire con scelte di coscienza maturate e vissute in interiore hominis, è — quantomeno in Europa occidentale ed a partire dal secondo dopoguerra — anche un presidio per la libertà di vivere secondo il proprio credo, ovvero di vivere in un ordinamento giuridico parallelo a quello dello Stato, caratterizzato da norme di origine confessionale destinate a conformare l'esistenza di cittadini/residenti/fedeli accanto alle norme provenienti dal potere pubblico. Con la conseguenza che gli atti compiuti in ossequio a tali facoltà possono essere dotati di una certa forza ''eversiva'' capace di scardinare beni/valori ritenuti inderogabili dalle liberaldemocrazie laiche (si pensi all'impatto sociale che l'uso del niqab o del burqa ha creato in molti ordinamenti europei, e al dibattito sulla compatibilità di tali indumenti con il diritto alla sicurezza ed il dovere di identificabilità).
Ma fino a che punto è possibile sacrificare, sull'ara del proprio credo, dei valori — come l'integrità fisica, la libertà di autodeterminazione, l'uguaglianza tra uomo e donna, la libertà di manifestazione del pensiero — sui quali è stata costruita dal costituzionalismo liberaldemocratico la stessa identità civica dell'Occidente?
Vi è poi un aspetto – per così dire – istituzionale del problema. Il riconoscimento di uno status giuridico peculiare ad alcune Chiese o confessioni – riconoscimento che costituisce la regola, e non l'eccezione, in diversi ordinamenti europei – rischia infatti di riverberarsi in maniera negativa sulla libertà degli appartenenti a confessioni di minoranza. Non a caso Heiner Bielefeldt, special rapporteur delle Nazioni Unite sulla libertà religiosa, ha recentemente messo in luce come le religioni o le Chiese di Stato costituiscano un marcato problema nella realizzazione piena del pluralismo confessionale e della libertà di religione. C'è di che riflettere sul tema, anche in Italia.
INDICE Giugno 2014
Editoriale
Monografica
- Le nuove strade del consenso politico, in Italia e in Europa
- I voti ottimisti e moderati di mister 40%
- Alla Merkel conviene la Große Koalition anche a Bruxelles
- Che lingua parla la Gran Bretagna che vota per Farage?
- Le Pen vince, ma non trionfa. Il bipolarismo francese scricchiola, ma non crolla
- Da Atene, nessuna sorpresa. La vittoria di Tsipras fa comodo anche a Samaras
- Il voto europeo a est, all'ombra della crisi ucraina
- Il progetto di "Europa politica" è più in crisi al Nord che al Sud
Istituzioni ed economia
- Al centro-destra non serve una Leopolda, ma un bypass
- Il "caso Piketty", reloaded
- È il 2014, ma sembra il 1948
- L'economia illegale entra nel PIL? Tanto rumore per nulla
Innovazione e mercato
- Cosa non funziona (scientificamente) nella "decrescita felice"
- Le 50 sfumature di grigio abbandonate dalle banche
Scienza e razionalità
- Palestinesi ad Auschwitz: il viaggio dell'empatia
- Tempi e luoghi targati "Insettopia": per una corretta cultura sull'autismo
- Verso una diagnosi sempre più precoce dell'autismo
Diritto e libertà
- La libertà religiosa? È una questione politica
- Renzi, le toghe e i parrucconi. Ora tocca cambiar verso anche sulla giustizia