Syriza vince, Nea Demokratia tiene, il Pasok è sempre più piccolo, ma sempre determinante. Probabile un rimpasto, improbabili elezioni anticipate. Per rinegoziare gli accordi con Bruxelles, anche il successo di Tsipras e il risultato di Alba Dorata può tornare utile a Samaras.

Il voto greco non ha portato né scossoni né sorprese. E si può tranquillamente immaginare che per il momento nulla cambierà nella politica del Governo Samaras, a meno che non sia l'Europa tutta a cambiare strategia. La Coalizione della Sinistra Radicale, Syriza ha vinto le elezioni europee con il 26,6% dei voti, ed è la prima volta per un partito di sinistra, ma in pratica ha confermato i numeri ottenuti nelle politiche del 2012. Vittoria, dunque, ma non trionfo. Alexis Tsipras ha chiesto le elezioni anticipate, ma sa che non le otterrà a breve.

Nea Demokratia, il partito dell'alleanza di Governo, ha ottenuto il 22,7%, 7 punti in meno rispetto al 2012. Le politiche di austerità, che tradotte significano la disoccupazione più alta d'Europa (26,7%, a marzo 2014) non hanno prodotto danni irreparabili. Ora, però, Antonis Samaras deve giocarsi tutte le carte. Probabile che proceda a un rimpasto, ma per presentarsi agli elettori con il debito rinegoziato e le tasse in discesa ha bisogno dell'aiuto dell'Europa. Chissà che non lo ottenga proprio sventolando la vittoria di Tsipras come una minaccia per la stabilità del suo Governo. E, visto il montare delle forze xenofobe ed euroscettiche in tutto il vecchio continente, è probabile che gli interlocutori europei mostrino una maggiore clemenza.

Il premier però deve anche affrontare i malumori interni, non tanto per la sconfitta elettorale quanto per l'ingombrante convivenza con il Pasok che, nonostante il modesto risultato elettorale, si propone come ago della bilancia. Il partito di Evangelos Venizelos, già annientato dalla leadership di Giorgios Papandreou, che lo ha portato dal 44% del 2009 al 12,3% del 2012, non va tutto sommato malissimo.

Le previsioni lo davano, col nuovo nome di Elià (Ulivo), tra il 4 e il 6%. Invece ha ottenuto l'8%. Il mantra pre-elettorale "stabilità", ripetuto fino alla nausea, ha sortito qualche effetto. Fatti i conti è il ministro della Sanità, Adonis Georgiadis, a congratularsi con Tsipras, ad assicurare che il Governo ha ricevuto il messaggio ma a ribadire che, numeri alla mano, nulla cambia: Nea Demokratia e Pasok hanno ancora la maggioranza.

L'unico partito in ascesa in tutte le circoscrizioni elettorali è il filo-nazista Alba Dorata, il cui leader, Nikos Michaloliakos, è in carcere dallo scorso settembre con l'accusa di essere a capo di un'organizzazione criminale. Con il 9,4% diventa la terza forza del Paese. Rispetto al 2012 ha guadagnato il 2,5%, una percentuale modesta se paragonata ai grandi numeri delle destre in Europa. Stanno, allora, davvero tanto male i greci se quasi confermano le scelte fatte appena due anni fa?

Probabilmente una gran parte di loro vuole credere alla ripresa, ha paura del cambiamento e, tutto sommato, vive ancora abbastanza bene. I legami con i partiti della coalizione di Governo sono generazionali, hanno a che a fare con un benessere garantito da assunzioni clientelari, privilegi pensionistici e un orgoglio di appartenenza a chi ha fatto della Grecia un Paese moderno. La politica di Syriza, abbastanza altalenante su questioni cruciali come l'uscita o meno dall'euro, non è riuscita a sfondare, portandosi dietro in parte anche il vecchio vizio della supposta superiorità intellettuale della sinistra.

Nazionalismo estremo e individuazione del nemico nello straniero sono invece i temi cavalcati da Alba Dorata che, animata da livore verso tutto ciò che abbia vagamente a che fare con l'intelletto, raccoglie i voti sì degli scontenti e dei tartassati ma anche di tanta parte delle forze di polizia. E, in un Paese in cui la memoria della dittatura dei Colonnelli è ancora viva, fa molta paura. Che messaggio manda, dunque, all'Europa il Paese che più di tutti ha pagato e paga la crisi dell'eurozona?

Forse il messaggio è che, tutto sommato, l'Ue male non ha fatto a imporre misure inaccettabili e manovre suicide, perché dall'altra parte si sapeva di doverle accettare. Ai conti truccati e a una gestione folle del denaro pubblico non c'erano possibili giustificazioni, tanto da far dire nel 2010 all'ex vice Primo Ministro Pasok, Theodoros Pangalos, quando i greci si chiedevano dove fossero finiti i soldi: "Li abbiamo mangiati insieme". Un "insieme" inteso non come popolo, ma come gruppi di individui, aggregati familiari e clientelari, legati da interessi personali. Interessi che in queste elezioni sono stati grandi protagonisti.

Alle Europee 40 erano le liste, 1299 i candidati per 21 seggi. Nelle elezioni comunali della settimana precedente, il 18 maggio, a Voula nell'Attica, ed è solo un esempio, 24.481 elettori hanno scelto tra 424 candidati (uno ogni 58 votanti) che si contendevano 33 seggi. Numeri che non stanno a indicare tanto un desiderio di partecipazione alla gestione della cosa pubblica, quanto piuttosto uno sfrenato individualismo. Una discesa in campo per intessere la propria rete di appoggi e conoscenze, ciecamente valorizzate a discapito del senso dello Stato, la mancanza del quale fa divenire tollerabili anche le azioni e i numeri di un partito come Alba Dorata.

Il che rende sinistramente attuale e calzante alla Grecia di oggi questa frase: "Tutte le decadenze in tutti i luoghi e in tutti i tempi sono contrassegnate dai medesimi fenomeni: le accresciute distanze sociali fra un numero sempre più piccolo di privilegiati e una massa sempre più grande di derelitti, l'affievolimento di ogni vincolo di solidarietà e la totale indifferenza di tutti agli interessi della comunità". Lo scrissero nel 1965 Indro Montanelli e Roberto Gervaso. Il libro era "L'Italia dei secoli bui".

@GeorgiaManzi