Si è avviato in Italia un dibattito sul senso della nostra presenza nella zona Euro e nell'Unione Europea. E' un qualcosa che non ha precedenti nel nostro paese: da noi fino a tempi recenti è prevalso un sostanziale unanimismo su qualsiasi cessione di sovranità. Il vento sta cambiando? E' urgente che in Italia si cominci seriamente a ragionare sulla questione europea su basi nuove, incentrate sui princìpi della libertà economica.

 

euro pozzanghera

 

Negli ultimi tempi si è avviato in Italia un dibattito sul senso della nostra presenza nella zona Euro e nell'Unione Europea. E' un qualcosa che non ha precedenti nel nostro paese, in quanto, mentre altrove i passaggi fondamentali della costruzione europea sono stati contrassegnati da accese contrapposizioni, da noi fino a tempi recenti è prevalso un sostanziale unanimismo su qualsiasi cessione di sovranità. Dopo anni di europeismo spensierato alimentato e cavalcato dalle forze politiche, il vento ha cambiato rapidamente direzione nel momento in cui si è reso evidente uno scollamento tra la narrazione europeista e la percezione concreta della gente comune.

Se il trend di disaffezione nei confronti di Bruxelles appare oggi inarrestabile, le ragioni di tale sentimento appaiono, il più delle volte, non sufficientemente ponderate. Nei fatti il dibattito che si è finora sviluppato quasi mai ha inquadrato correttamente i termini effettivi della questione e le dinamiche causa-effetto innescate dalla nostra presenza all'interno dell'UE e dell'Eurozona. Questa condizione sta, purtroppo, indirizzando una parte del paese verso chi offre risposte demagogiche e pericolose.

Secondo molti il vero "problema" è che l'Italia con l'Euro ha perduto la "sovranità monetaria", cioè che il nostro governo non ha più il potere assoluto di stampare banconote. In base a questa visione, se da Roma si potesse immettere liberamente liquidità nel sistema, l'economia sarebbe destinata a riprendersi rapidamente. L'idea della svalutazione competitiva è oggi particolarmente popolare in un'area variegata che va dal Movimento 5 Stelle, alla sinistra radicale, alla Lega, alla nuova Forza Italia. Al tempo stesso, tuttavia, è una soluzione evidentemente illiberale, in quanto, sul piano concreto, essa si traduce in un gigantesco trasferimento di ricchezza reale da creditori e risparmiatori verso banche e politici.

La costruzione europea, per come si è realizzata finora,appare sì fallata, ma le ragioni sono ben diverse da quelle della vulgata che va per la maggiore. Il problema dell'Unione Europea è che essa si è formata in virtù di un progetto largamente ideologico che mira a costruire, per passi successivi, un governo monopolista su base continentale in grado di sopprimere la concorrenza fiscale e normativa. Tale progetto non ha niente a che fare con i concetti di libero scambio e di mercato unico che per realizzarsi non hanno bisogno di un'infrastruttura politica unitaria. Anzi il mercato europeo sarà molto più libero se non ci sarà un'entità politica unitaria che abbia titolo di regolarlo.

Anche se tanti liberali hanno fin dall'inizio denunciato i pericoli di un superstato continentale, molti politici, economisti ed intellettuali aperti alle ragioni del mercato hanno nel tempo abbracciato l'europeismo in nome di considerazioni di (presunto) "realismo politico liberale". In particolare, per molti anni è stato ripetuto il concetto secondo cui l'appartenenza dell'Italia al core dell'UE ed alla zona Euro avrebbe forzato il nostro paesea perseguire riforme strutturali e politiche di responsabilità di bilancio che non sarebbe stato in grado di intraprendere autonomamente. Queste argomentazioni "pragmatiche" a favore dell'UE si sono però rivelate, nel tempo, sempre più inconsistenti. Il nostro paese, che pure negli anni '90 aveva saputo intraprendere alcune moderate riforme e privatizzazioni, in corrispondenza dell'ingresso nell'Euro ha sostanzialmente smarrito qualsiasi spinta innovatrice. La moneta unica ha regalato all'Italia la percezione di essere ormai approdata dentro qualcosa di "troppo grande per fallire" e questo ha fatto venir meno il senso di urgenza necessario a superare le resistenze al cambiamento. Nei fatti, gli impegni sottoscritti in sede europea, come il Patto di Stabilità e Crescita, si sono rivelati molto meno efficienti nel promuovere il buon governo in Italia e negli altri paesi periferici di quanto lo sarebbero stati incentivi di mercato, quali una piena esposizione alle dinamiche del mercato obbligazionario – se non altro perché il controllo del rispetto di accordi politici è sempre e comunque politicamente negoziabile.

Ma c'è di più. L'associazione di determinate politiche di buon senso liberale, quali la riduzione della spesa pubblica e la tenuta dei conti, con le élites politiche e tecnocratiche dell'Unione Europea ha consegnato ai populismi anti-mercato di mezza Europa molte munizioni ideologiche e soprattutto la possibilità di intestarsi la legittima difesa dell'interesse nazionale contro l'interferenza straniera. E' così che alla fine la scelta tattica di alcuni liberali di puntare tutto sul legittimismo europeista – con convinzione o vivendolo come "male necessario" – rischia in realtà di depotenziare la credibilità delle idee liberali nel fornire adeguate chiavi di lettura per la crisi di questi anni.

Tra l'altro la relativa attrattività che, in un'ottica di libero mercato, alcune ricette "europee" tuttora detengono, se comparate a quelle che in molti casi sembrano emergere dai dibattiti nazionali, è in gran parte dovuta al fatto che a livello continentale non si è ancora affermato un modello compiuto di democrazia, ma che al contrario continua a prevalere la dimensione dei rapporti orizzontali. In altre parole l'UE non è ancora del tutto in mano al potere assoluto della maggioranza e questo conferisce ancora ai paesi più virtuosi un certo potere negoziale e di indirizzo nella gestione delle politiche perequative. Tuttavia, se l'Europa continuerà nel solco dell'attuale percorso di integrazione politica le condizioni cambieranno radicalmente. Se si consoliderà a tutti gli effetti un nuovo ulteriore livello istituzionale con potere di supremazia su quelli inferiori, con un presidente europeo ed una vera e propria "democrazia unitaria", si innescheranno inevitabilmente le medesime dinamiche che oggi sono responsabili delle peggiori politiche nazionali – solo su scala molto più grande. Quello che ci si può attendere è che la classe politica europea comincerà ad implementare politiche di brevissimo termine, volte ad assicurarsi il più vasto consenso, attraverso l'intervento in economia, la spesa pubblica e la redistribuzione della ricchezza su base continentale.

Assisteremo con tutta probabilità al varo degli "eurobond", al potenziamento del "fondo salva-stati", al conferimento alla Banca Centrale Europea del ruolo di prestatrice di ultima istanza ed ad una gestione sempre più "politica" dell'Euro, evidentemente nel senso dell'espansione monetaria. All'accrescimento del potere di Bruxelles, corrisponderà in modo inevitabile una deresponsabilizzazione dei governi nazionali che saranno, nei fatti, sollevati dalle necessità di tenuta contabile e potranno fare deficit e debito spendendo la garanzia offerta dal superiore livello europeo. Per le classi politiche dell'Europa meridionale si tratta di uno scenario tutto sommato auspicabile perché consentirebbe di spostare in avanti il redde rationem sulla sostenibilità dei sistemi economici dei rispettivi paesi. Tuttavia ciò contribuirebbe ad alimentare una gigantesca "bolla politica" destinata a produrre conseguenze devastanti su tutto il continente, una volta che dovesse esplodere. Diceva Margaret Thatcher che il problema del socialismo è che ad un certo punto i soldi degli altri finiscono. In Italia ed in altri paesi i soldi sono effettivamente finiti ed in questo senso gli appelli ad un'Europa più unita e più solidale suonano come il tentativo di trovare nuovi soldi degli altri per continuare a difendere lo status quo.

Va detto peraltro che, anche se siamo abituati a ragionare sull'Europa prevalentemente attorno all'asse Nord-Sud, l'unità politica produrrebbe effetti disfunzionali anche nella dimensione Est-Ovest, troppe volte dimenticata. C'è da aspettarsi, in effetti, che da un lato i paesi occidentali cercherebbero di disinnescare la concorrenza dei paesi con più basso livello di tassazione e di costo del lavoro, imponendo un'armonizzazione fiscale e normativa – dall'altro i cittadini dell'Europa dell'Est reclamerebbero di poter conseguire per via politica, cioè attraverso i trasferimenti dai paesi più ricchi, quel progressivo miglioramento del tenore di vita che finora hanno perseguito attraverso la crescita economica interna. In altre parole dei paesi che finora hanno presentato, nella maggior parte dei casi, dinamiche di sviluppo sane rischiano di essere trasformati in assistiti dall'Europa politica.

Insomma, alla fine la Germania ed i paesi ad essa più "vicini" finiranno per trovarsi sotto la doppia pressione dei paesi del Sud e dell'Est Europa e non ci sarebbe da stupirsi se – contrariamente all'immagine di una Merkel massimamente regista del processo di unione – alla fine la "rottura" dell'Euro fosse reclamata proprio dalle partidi Berlino. Certamente è del tutto evidente che, a fronte dei guasti di una democrazia unitaria, l'antieuropeismo populista, nazionalista ed anticapitalista non rappresenta affatto una prospettiva migliore, ma proprio per questo serve prefigurare una terza via che sia in grado di salvare quanto di buono tuttora è presente nell'ideale europeo. C'è bisogno di costruire una prospettiva politica che difenda e rafforzi il mercato unico continentale, confuti il mito politico della svalutazione e promuova a livello nazionale radicali politiche di riforma liberale dell'economia. In questo senso importanti spunti in termini di contenuti possono essere individuati, ad esempio, nell'euroscetticismo di matrice britannica - quello di Margaret Thatcher e quello che oggi, con toni e prospettive diverse, interpretano David Cameron e Nigel Farage.

In definitiva, è assolutamente urgente che in Italia si cominci seriamente a ragionare sulla questione europea su basi nuove, incentrate sui princìpi della libertà economica, se si desidera sottrarre il paese agli esiti drammatici di un bipolarismo tra chi vuole perseguire politiche di spesa sotto l'ombrello di un'Europa più unita e solidale e chi vuole farlo, in termini più nazionalisti, attraverso il ricorso indefinito all'inflazione.