Con il Muro non finì la storia, ma iniziò a finire l'innocenza europea
Editoriale
La caduta del Muro doveva segnare la "fine della storia" (come vaticinava ingenuamente Fukuyama) e segnò invece l'inizio della fine della grande illusione di fare dell'Europa una sorta di super-Svizzera amica di tutti e nemica di nessuno, un continente in pace per rimozione delle guerre degli altri, un super-Stato non allineato e affrancato dall'obbligo di parteggiare e di attendere alla propria difesa e sicurezza usando anche armi più corrusche di quelle delle "buone relazioni" e della diplomazia del buon senso e della buona creanza.
Con il Muro non finì la storia, ma iniziò a finire l'innocenza dell'Europa, che la logica dei blocchi affrancava da responsabilità politiche "esterne", e la fine dell'impero sovietico espose brutalmente ai nuovi e tutt'altro che irenici venti della storia. Il crollo del Muro segnò il passaggio all'età adulta di un'Europa rimasta politicamente bambina.
Pochi anni dopo la festa alla porta di Brandeburgo, dalla carneficina dell'ex Jugoslavia - che non si doveva dividere, pensavano gli stessi per cui la Germania non si doveva riunificare - a tirare fuori un'Europa colma di responsabilità e di vergogne fu nuovamente l'America. Lo spettacolo dell'irresolutezza europea si ripeté nemmeno un decennio dopo, con l'11 settembre, in un ordine mondiale sconvolto dall'irruzione di un nuovo attore globale, che tuttora domina la scena.
Gli Stati Uniti, adattando il vecchio universalismo wilsoniano al "bellicisimo" post-reaganiano, si diedero una dottrina e una strategia, insieme molto di destra e molto di sinistra. L'Europa se ne andò invece in ordine sparso e il suo cuore continentale franco-tedesco se ne stette da parte a cavillare sulla legittimità delle guerre americane e a sognare paci impossibili con un mondo islamico in fiamme, fino ad innamorarsi più del dovuto delle molto deludenti primavere arabe.
E si arriva ai nostri giorni, con una Nato esposta pericolosamente verso est e un'Europa invece ritratta dentro i suoi antichi confini e le sue antiche paure, che non può mollare i nuovi europei, a partire dai baltici e dai polacchi, nelle grinfie dell'orso russo - e quindi reagisce con sanzioni vere all'aggressione vera di Mosca all'Ucraina - ma non ha una visione e un'idea di sé diversa da quella del volonteroso pompiere, che deve correre a spegnere gli incendi che sbarrano la strada ai traffici e al business as usual della sua pacifica e spompata economia.
Un quarto di secolo dopo, c'è una Germania più grande in un'Europa più piccola. Anzi, l'unica cosa seriamente "europea" fatta dopo la caduta del Muro è stata la riunificazione tedesca. Molto più dell'euro, che pure ne è stata la condizione, imposta alla Germania riunificata. Tutto il resto, per un quarto di secolo, è stato molto al di sotto non solo dei sogni, ma anche delle necessità. Ovvio che ora si arrivi anche a pensare l'impensabile e a ragionare seriamente, calcolatore alla mano, del possibile divorzio della Germania dall'Europa.