Nelle elezioni dell'ultimo anno, il voto europeista è stato sconfitto solo dove l'Ue è stata proposta come il 'meno peggio', non come 'il meglio', cioè nel caso della Brexit. In Austria, Olanda e Francia le forze anti-europee sono state invece sconfitte da candidati che non hanno reso alcun omaggio alla vulgata populista. Lo stesso accadrà a breve in Germania. In Italia, che è il Paese più a rischio, dire 'Europa sì, ma non così' significa concedere che l'Europa che c'è può avere come alternativa migliore la non Europa.

Della Vedova Macron

Per noi che abbiamo sventolato convintamente la bandiera Ue quando sembrava perfino autolesionistico farlo, il 7 maggio è stato un giorno felice. Ma lo scontro politico ed elettorale tra aperto e chiuso, tra europeismo e nazionalismo non si è certo concluso con la straordinaria vittoria di Macron su Le Pen. Non solo perché un francese su tre ha scelto comunque la candidata antieuropea, ma perché in Italia i sondaggi danno in testa il partito di chi vuole uscire (con o senza referendum) dall'euro, cioè dall'Unione europea.

Contro questo partito trasversale occorrerà costruire un'alternativa lealmente pro Ue, senza concedere nulla alla sua agenda, senza pensare di poter utilizzare in tutto o in parte i suoi argomenti critici e la sua retorica populista, ritenendo di poterli giocare in positivo.

In questi ultimi dodici mesi, nei fatti, i pro-Europa sono stati sconfitti solo dove l'Ue è stata proposta come "meno peggio", non come "il meglio", cioè nel caso della Brexit. Dove invece è stata difesa in positivo e le politiche di integrazione sono state rivendicate davanti agli elettorati nazionali come un fattore di crescita e di sicurezza è prevalso il voto europeista.

È il caso dell'Austria, ad esempio. Il Presidente Van der Bellen ha ottenuto una vittoria risicata al primo ballottaggio e decisamente più netta in quello ripetuto a dicembre dopo la Brexit, sfidando Hofer apertamente sull'Europa. In Olanda a ottenere i risultati migliori e più imprevisti alle elezioni - che hanno stoppato, almeno per ora, il nazionalista Wilders - sono stati i Verdi e i liberali di D66 con le loro piattaforme chiaramente europeiste.

Della vittoria di Macron vale il simbolismo delle bandiere europee ostentate nei comizi e dell'Inno alla gioia che lo ha accolto al Louvre: l'Unione europea protagonista del futuro migliore della Francia; e viceversa. In Germania, così sembra, l'agenda antieuropea non ha ancora fatto breccia in modo consistente e non caratterizzerà lo scontro elettorale in vista delle politiche di settembre.

La partita decisiva di questo "girone d'andata" si giocherà in Italia, dove le forze anti euro (che significa, al netto dei sofismi, anti Ue), pur sotto schiaffo dopo la vittoria di Macron, nei sondaggi restano a poca distanza dal 50%; e questo non considerando nemmeno in parte nel campo antieuropeo l'incerto partito berlusconiano. La mia opinione è che, per amor di verità e per efficacia, a questi vada contrapposto un netto: "Forza Europa!".

Churchill era un grande liberale, naturalmente scettico, pragmatico e costruttivo. Sulla democrazia, come sappiamo, sosteneva che fosse la peggior forma di governo, eccezion fatta per tutte le altre conosciute.

Difendere l'Europa che c'è non significa farne un totem immune da difetti. L'Europa, come la democrazia, non è una costruzione ideologica, ma una invenzione politica, un organismo vitale di istituzioni e di regole che hanno consentito decenni di pace, di sviluppo e di prosperità, che, come tutti gli organismi, è destinato a mutare, adeguandosi alle straordinarie trasformazioni - demografiche, economiche e tecnologiche - che la storia umana sta attraversando.

Non c'è un'Europa splendidamente ideale (a cui chiunque potrebbe ideologicamente prestare i propri connotati preferiti e la misura dei propri desideri) contrapposta a un'Europa burocraticamente reale: questo è esattamente il fantoccio polemico contro cui si battono tutti gli avversari dell'Europa, di destra come di sinistra, perfettamente convergenti nella denuncia della natura "antipopolare" delle istituzioni comuni e del carattere astratto di quella sovranità condivisa, che passa invece sempre - senza eccezioni - dalle scelte e dalle decisioni degli eletti e dei rappresentanti dei popoli europei e non viene mai loro usurpata da alcuna "tecnocrazia" irresponsabile.

Per difendere e amare le istituzioni dell'Ue, come per amare la democrazia, non c'è alcun bisogno di presupporne la perfezione e tantomeno l'infallibilità. Però dire "Europa sì, ma non così" significa mettersi sull'agenda di Salvini e Grillo, concedere che l'Europa che conosciamo può avere come alternativa migliore la non Europa. Io, invece, dico: "Europa sì, anche così!". Non è un gioco di parole, ma il riconoscimento della necessità di offrire un racconto più vero e alternativo, anziché corrivo, a quello antieuropeista.

Se facciamo coincidere la realtà con i problemi, come fanno i demagoghi da Le Pen a Grillo, avremo meno energie per affrontare questi ultimi, perché cederemo il passo a chi li sa cavalcare meglio, non avendo neppure l'obiettivo di volerli risolvere. Questo non vale solo per la Ue, ma anche per l'Italia. Se accettiamo il racconto che l'Italia è solo rapine, immigrati che generano inquietudine, corruzione, povertà e disoccupazione, lasceremo il campo libero alle forze elettorali che su questa caricatura dell'Italia stanno prosperando. E in questo modo si allontaneranno le soluzioni possibili alle rapine (che sono in calo, ma ci sono), all'integrazione necessaria e impegnativa degli immigrati chiedendo di più agli altri governi europei, alla riduzione della corruzione pubblica e privata, che deve restare prioritaria, al sollievo della povertà, dove c'è, attraverso una spesa sociale più efficiente di quella attuale, e alla creazione di migliori condizioni per investimenti e nuova occupazione.

Il clima tetro e triste che i nazionalisti dipingono e cercano di imporre, per offrire la loro chiusura a protezione degli elettorati impauriti, va squarciato con coraggio. Macron lo ha fatto senza mai incolpare l'Europa o l'austerità per le sofferenze francesi, attaccando lo "sconfittismo" della sua avversaria, rivendicando la grandezza e le prospettive della Francia senza conformismo, ad esempio parlando di crimini del colonialismo. Si è impegnato a realizzare riforme che potranno essere efficaci perché non indolori e non ha promesso pasti gratis. Il cammino sarà complicato, ma Macron si propone come riformatore e liberale per la Francia e quindi anche per l'Europa, difendendo e amando la Francia e l'Europa che ci sono, per averne di migliori.

Certo, le aspettative sono enormi e i risultati potranno non essere all'altezza, lo sappiamo. Ma quello che vorremmo per il nostro Paese, e che volevamo anche prima del 7 maggio, non è una copia italiana del giovane Macron, ma un progetto politico riformatore e liberale, aperto e positivo, che proponga un'alternativa a chi vuole chiudere l'Italia e l'Europa, col passo delle riforme e di un ragionevole ottimismo per il futuro.