'Uccidere chi ha ucciso è un delitto incomparabilmente più grande del delitto stesso. L'omicidio, ordinato da una sentenza, è molto più atroce che non l'omicidio del malfattore'. (F. Dostoevskij) I tempi sono cambiati, la concezione del diritto anche, ma in molti Paesi del mondo dove la pena di morte non è stata ancora abolita le parole dello scrittore russo restano più che attuali. Di questo e altro si parlerà a Oslo, nel Congresso Mondiale contro la Pena di Morte.

Mascioletti penamorte

Dal 21 al 23 giugno, a Oslo, si svolgerà il Congresso Mondiale contro la Pena di Morte. La manifestazione, arrivata alla sua sesta edizione dal 2001 a oggi, fa il punto sull’applicazione della pena di morte nel mondo e fa incontrare personalità ed esperti con lo scopo di discutere nuove e più efficaci strategie abolizioniste.

Il 2015 è stato, in negativo, un anno record per quanto riguarda la pena capitale: sono state eseguite almeno 1634 condanne e ne sono state comminate quasi altre duemila, un numero mai raggiunto nei precedenti 25 anni. Le statistiche sono comunque incomplete, dato che in Cina tutto ciò che riguarda questo argomento è classificato come segreto di stato e non può, quindi, essere divulgato; in ogni caso, tra i Paesi i cui dati sono pubblici, responsabili dell’86% delle esecuzioni registrate lo scorso anno risultano l’Iran, l’Arabia Saudita e il Pakistan, che ha ripreso proprio nel 2015 a condannare a morte dopo un lungo periodo di moratoria di fatto.

Se, infatti, il Congo, il Suriname, il Madagascar e le isole Fiji hanno deciso proprio nel 2015 di porre fine per sempre alla pena di morte nel proprio ordinamento, contemporaneamente altri Stati, come la Giordania, il Ciad e appunto il Pakistan, hanno messo fine alla moratoria di fatto che durava da lustri e ampliato – per finalità, dicono, essenzialmente di prevenzione del terrorismo – il numero di reati per cui applicare la pena capitale.

Questi casi dimostrano che, anche nei Paesi che l’hanno abolita di fatto o di diritto, esiste sempre il pericolo che gruppi di pressione più o meno organizzati abbiano successo nel chiedere il ripristino della pena di morte, o che, anche senza pressioni, dei governi sempre più interessati a spingere sull’acceleratore di un’ipotetica “sicurezza” trovino conveniente reintrodurla.

Le questioni sul tavolo di questo sesto appuntamento di ECPM (“Ensemble Contre la Peine de Mort”), quindi, sono moltissime: dai riconoscimenti agli abolizionisti al contrasto della reintroduzione della pena capitale dov’era stata abolita, alla missione di incoraggiare sempre più Paesi ad aderire almeno a una moratoria. La sostenibilità degli scopi che l’organizzazione, da quest’anno riconosciuta dalle Nazioni Unite, si pone per aiutare ad abolire la pena di morte è fondamentale: obiettivi troppo ambiziosi non sarebbero funzionali a ottenere risultati, mentre, procedendo per passi successivi, si può arrivare, nel tempo, anche al di là degli scopi prefissati.

Tra le iniziative della due giorni, vi saranno degli spazi di dibattito in cui saranno chiamati a dire la loro (governi permettendo) alcuni ex-condannati poi assolti o graziati e alcuni parenti di condannati a morte provenienti da vari Stati, sia democratici come gli USA o il Giappone, sia autoritari come la Bielorussia: le loro testimonianze sono particolarmente significative, dato che la descrizione di cosa si provi a stare nel braccio della morte, a sapere di poter essere uccisi in qualunque momento secondo legge dai rappresentanti di una giustizia non correttiva, ma punitiva e vendicativa, è più efficace di qualunque dissertazione teorica in punta di diritto.

Del resto, diversi sono, nella letteratura e nell’arte, gli esempi di autori che, magari reduci da una sentenza capitale e da una grazia concessa all’ultimo momento, hanno tenuto a perorare, direttamente o per il tramite di un personaggio, la causa dell’abolizione della pena di morte.

Tra quelli che tendono a rimanere più impressi, anche dopo decenni dalla prima lettura, c’è Fëdor Dostoevskij, che, vissuta in prima persona l’esperienza di una condanna a morte commutata in carcere quando lui ed altri erano già sul patibolo, fa dire al principe Myskin, protagonista de “L’Idiota”, alcune delle parole più semplici e insieme più potenti su quest’argomento ancor oggi controverso.

“Uccidere chi ha ucciso è un delitto incomparabilmente più grande del delitto stesso. L'omicidio, ordinato da una sentenza, è molto più atroce che non l'omicidio da parte del malfattore. Colui che viene assalito dai briganti e sgozzato di notte in un bosco o in qualsiasi altro modo, sino all'ultimo istante spera certamente di salvarsi. Ci sono esempi di persone che, con il coltello già piantato in gola, speravano ancora, o fuggivano o chiedevano pietà. Ma nel caso della ghigliottina, questa estrema speranza, che rende la morte dieci volte più lieve, viene radicalmente soppressa; qui esiste una sentenza, esiste la certezza dell'impossibilità di sfuggirle, e questa certezza è di per se stessa un supplizio peggiore di qualsiasi altro. Mettete un soldato di fronte alla bocca di un cannone in combattimento; nel momento in cui vi accingete a sparare, egli avrà ancora un filo di speranza, ma leggete a questo soldato la sentenza che lo condanna irrimediabilmente ed egli diventerà pazzo o scoppierà in pianto. Chi ha mai detto che la natura umana è in grado di sopportare una tale atrocità senza impazzire? Perché una simile crudeltà inutile, mostruosa e vana? Ma forse esiste anche un uomo al quale, dopo aver letto la sentenza di morte e dopo avergli lasciato un po’ di tempo per torturarsi in preda al terrore, si dica: ‘Vattene, sei graziato!’. Ecco, quest'uomo potrebbe forse descrivere ciò che si prova”.

È questo il principio che ha ispirato gli organizzatori del congresso di Oslo a prevedere, durante i lavori, uno spazio in cui alcuni artisti presenteranno le loro opere sul tema della pena di morte e dell’apparente ineluttabilità della condanna, come ad esempio “Windows on Death Row”, una raccolta di lavori di autori satirici e di condannati a morte in USA, ma anche dell’incertezza del diritto e del sopruso sistematico in Paesi come l’Iran, su cui sono incentrati i lavori del vignettista Mana Neyestani. Sempre sulla scia dostoevskiana della testimonianza in prima persona, inoltre, il congresso sarà aperto da diapositive che riproducono le ultime frasi di alcuni condannati a morte, scelte e messe in forma grafica dall’artista Michael ‘O Donnell.

Certo, in un mondo che appare sempre più preda di estremismi e populismi anche la battaglia sulla pena di morte, che sembrava sostanzialmente vinta, ricomincia a diventare scomoda, e forse minoritaria. In una situazione in cui, anche nei Paesi che si definiscono “sviluppati”, sempre più persone trovano conveniente illudersi che strillare “a morte!” e invocare la forca sia risolutivo, o che il vero problema del loro Paese, dell’Europa, dell’America, del mondo sia il c.d. “buonismo”, mantenere la pacatezza e ricordare che esistono i diritti umani, e che fra questi dovrebbe esistere anche quello a non vedersi togliere la vita contro la propria volontà da un’istituzione statale, diventa rivoluzionario.

Il congresso di Oslo (informazioni all’indirizzo web congres.abolition.fr) va in questa direzione, e, tanto più in un’epoca in cui la bussola sembra smarrita per tutti, ricorda una delle cause fondamentali da sostenere, se ci si vuole poter definire “civili”. Non sarà tutto, ma è sicuramente qualcosa.