Mentre fioriscono le statistiche che mettono l’Italia sul podio mondiale dei sistemi sanitari, la questione demografica e l’invecchiamento della popolazione rischiano di sfidare questo primato. Solo una governance intelligente dell’innovazione biomedica può trasformare in sviluppo quello che in molti, per ora, ritengono solo un costo.

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Bloomberg, multinazionale del marketing e della comunicazione, ha classificato i Sistemi Sanitari globali in base a tre criteri: l’aspettativa di vita, il costo della sanità in percentuale sul Pil, e in assoluto, il costo pro-capite per l’assistenza sanitaria. In Italia, attualmente medaglia di bronzo, l’aspettativa di vita è pari a 82,9 anni e si spende in sanità circa il 9% del Pil, che equivale a 3.032 dollari pro-capite. In totale il punteggio dell’Italia è 76,3, poco meno di Hong Kong e Singapore, ma più del doppio degli Stati Uniti, fermi a 34,3.

Le sfide poste dalla transizione demografica provengono dalla natura strutturale del DNA di Homo Sapiens, che contiene le informazioni per codificare un organismo dotato di ineguagliata capacità di adattamento ambientale ma non, probabilmente, per vivere in piena salute oltre le 4 decadi che hanno rappresentato il limite della vita umana per migliaia di anni e comunque fino al secolo scorso.

In questo contesto la questione della longevità può essere affrontata da vari punti di vista. Se da un lato, come comunica l’analisi di Bloomberg, è indicativa di una buona tenuta del nostro sistema salute e dell’ormai gestibile impatto dei fattori ambientali e dello stile di vita, dall’altro comporta un aumento della domanda di salute per l’emergere di patologie assolutamente sconosciute nei secoli scorsi semplicemente perché si moriva prima. Sino a solo centocinquant’anni fa epidemie odierne come il diabete di tipo 2, le demenze o le malattie respiratorie croniche erano infatti virtualmente sconosciute.

Per comprendere l’impatto della rivoluzione demografica sulla salute è necessario chiamare in causa l’epidemiologia e il concetto esteso di transizione epidemiologica. Le nuove epidemie sono costituite da disturbi cosiddetti “non trasmissibili”, in Italia solo nel 2014 si sono registrati oltre 1.000 casi al giorno di cancro e le malattie cardiovascolari rimangono il nemico numero uno della nostra salute. Ma gli indicatori classici di morbilità e mortalità non sono adatti a descrivere una popolazione che invecchia e non permettono di dare un “peso” (in inglese burden) a quelle malattie che causano perdita della produttività e della salute in generale pur non causando morte prematura.

L’indicatore DALY (Disability Adjusted Life Years) è invece più intelligente perché rappresenta la perdita di salute prodotta dalle malattie e aggiustata per equivalenti anni di vita. Secondo l’analisi di Christopher Murray e collaboratori su Lancet, le malattie con il DALY più alto in Italia sono le seguenti: dolore (lombare o al collo), malattie cardiovascolari ischemiche, demenza di Alzheimer, malattie degli organi di senso, ictus, tumore al polmone, incidenti, depressione, emicrania e malattie respiratorie croniche.

Nei Paesi ad alto indice socio economico la domanda di salute deve rispondere a condizioni che provocano disabilità e, in termini epidemiologici, questo si osserva nella conversione dal numero di anni persi per morte prematura al numero di anni vissuti con disabilità. A contribuire a questa transizione (health transition) è la disabilità causata dal dolore muscoloscheletrico, dalle malattie neurologiche come le demenze e l’emicrania e soprattutto dalle malattie mentali, in particolare la depressione. Abbiamo lasciato alle spalle dunque l’era delle grandi epidemie e, movimenti antivaccinali permettendo, le priorità nella gestione e tutela della salute sono cambiate. Per sempre.

La risposta più immediata alle mutate esigenze di salute della popolazione è l’innovazione nel campo delle scienze della vita e del biotech. In questo senso la domanda di salute, inutile negarlo, costituisce un mercato e un importante incentivo agli investimenti da parte dell’industria di settore e anche della ricerca indipendente.

Varie innovazioni, nate nei laboratori e nei centri di ricerca negli ultimi dieci anni, stanno in effetti arrivando sul mercato mondiale. Nel 2015 che si è appena chiuso, l’FDA (Food and Drug Administration), l’agenzia regolatoria statunitense, ha approvato 45 nuovi farmaci, il numero massimo da moltissimi anni a questa parte (erano stati 41 nel 2014 e 29 nel 2013). Si tratta di prodotti eterogenei, alcuni dal potenziale terapeutico elevato e con costi altrettanto importanti, capaci di scuotere dalle fondamenta non solo le priorità di salute dei Sistemi Sanitari, ma, soprattutto, i modelli amministrativi utilizzati sinora.

Nel prossimo futuro arriveranno altre molecole, forse ancora più evolute e sofisticate. Oltre ad altre terapie per l’epatite C e agli anticorpi monoclonali contro il colesterolo LDL (quello “cattivo”), verrà chiesta la registrazione per gli anticorpi monoclonali per tentare di combattere l’Alzheimer e le demenze in genere, i tumori (es. carcinoma mammario, polmone, colon-retto, pancreas, rene e melanoma), l'asma e alcune tossine batteriche. Poi ci saranno nuovi antiretrovirali, con un impatto economico stimato per il SSN Italiano che va da parecchie decine a diverse centinaia di milioni di euro per i prossimi due-tre anni.

Nuovi farmaci dunque, terapie avanzate e tecnologie, ma non solo. Per comprendere il valore di questo mercato è importante ricordare che grandi conglomerati informatici e tecnologici come Google e Apple impiegano in questo momento team di ingegneri che a Cupertino e a Mountain View stanno lavorando per progettare algoritmi innovativi in grado di estrarre conoscenza da immense banche dati, i famosi Big Data. Questo perché la vera rivoluzione tecnologica nel campo della salute, oggi, sta nel metodo.

Parlando di farmaci, ad esempio, un mondo che possiamo considerare definitivamente chiuso è quello dei cosiddetti blockbuster ad alta rimuneratività (ben oltre 1 miliardo di dollari anno) perché ad ampio spettro di utilizzo pur con costi per confezione relativamente contenuti se confrontati con i prodotti in arrivo. Oggi invece si studiano e si sviluppano farmaci biotecnologici “personalizzati” su bersagli molecolari o su particolari genotipi. Si comprende in questo senso l’enorme potenziale delle nuove immunoterapie antitumorali, ovvero anticorpi monoclonali diretti verso una particolare caratteristica di un tumore, ovvero la speranza di curare malattie rare con difetti genetici o enzimatici noti.

Il problema nasce quando la variabilità di una popolazione non può essere ridotta, come nel caso di malattie neurologiche ad altissima prevalenza e incidenza (dolore, emicrania) e delle malattie psichiatriche. In questi casi è necessario consolidare e validare i contenuti di immense banche dati (peta- exabytes) che archivino parametri comportamentali e biologici per incrociarli tra loro al fine di estrarre informazioni che permettano di identificare precisi sottogruppi delimitati di pazienti che in un futuro forse non troppo lontano riscriveranno la nosografia e quindi il sapere medico. Questa dovrebbe essere la risoluzione dello Human Technopole che nascerà sulle ceneri luminose di Expo Milano, ma in realtà questa sarà la vera sfida per la governance di tutti i sistemi sanitari globali, ed è già iniziata.