La chance del mercato globale per l’impresa italiana: intervista a Francesco Ortolani
In quasi 100 anni di storia ne ha fatta di strada. Nato nel 1919 a Thiene, in provincia di Vicenza, il gruppo Gemmo oggi è leader di mercato nei settori dell’impiantistica industriale, della pubblica illuminazione, del facility management e dei servizi di energia.
Aeroporti, ospedali, città, strade e tunnel sono le sue attività principali, che al 31 dicembre 2014 hanno consentito al gruppo di realizzare un giro d’affari di circa 230 milioni di euro, fornendo occupazione a più di 1500 persone in tutto il mondo e un portafoglio commesse superiore ai 1600 milioni di euro.
Dalla provincia di Vicenza all'Argentina, all'Armenia, all'Egitto, alla Libia, alla Lituania, passando per Romania e Turchia. Quanto è fondamentale oggi per una Pmi internazionalizzarsi?
Il focus di Gemmo è l’eccellenza in alcuni segmenti di mercato molto precisi - in particolare tutti quelli relativi alle soluzioni tecnologiche per l’efficientamento energetico di strutture ed infrastrutture civili e di pubblica utilità – secondo un modello di servizio ingegnerizzato ai massimi standard di qualità, efficienza e sicurezza. Un modello che negli anni è risultato economicamente efficiente tanto più il mercato si è ampliato, superando i confini nazionali. Quindi, sì, dal nostro punto di vista la strategia dell’internazionalizzazione è fondamentale per assicurare nuovi sbocchi alla nostra impresa.
Ancor prima che all’estero, siete una realtà importante anche in Italia. Solo per fare alcuni numeri: più di 120 comuni in 12 regioni italiane hanno affidato a voi l’illuminazione pubblica per un totale di circa 350.000 punti luce; gli ospedali gestiti sono 30, per oltre 10.000 posti letto. Data la vostra esperienza, è più facile fare impresa nel nostro Paese o fuori i confini nazionali? Quali le principali difficoltà che trovate in Italia?
Non si può generalizzare ma certamente nel confronto con economie simili alla nostra il nostro sistema esce a pezzi per quanto riguarda la sua capacità di sostenere le imprese a fare impresa. Nel nostro caso le difficoltà maggiori sono rappresentate da un committente pubblico il cui iter decisionale è sempre farraginoso, eccessivamente lungo, suscettibile di innumerevoli variazioni in corso d’opera e da un processo di incasso dei crediti tra i più lenti del mondo.
Da questo punto di vista, secondo voi è vero quello che sostiene il premier Renzi, e cioè che l’Italia sta finalmente ripartendo?
Nel settore delle opere pubbliche, fintantoché le prassi della committenza rimarranno invariate non ci potrà essere alcuna ripartenza. L’approccio del governo Renzi sembra andare nella giusta direzione per risolvere queste problematiche e noi ci auguriamo davvero che “sia la volta buona”, per citare il nostro Premier.
La vostra mission è realizzare opere di pubblica utilità nel rispetto dei valori umani e dell’ambiente che ci circonda. Questo è possibile anche in alcuni Paesi in cui operate, lontani dagli standard europei e occidentali?
Si tratta di regole che fanno parte del nostro DNA e alle quali ispiriamo i nostri comportamenti in Italia come in quei paesi esteri in cui gli standard sono i più lontani dai nostri.
La Libia continua ad essere nel caos. Vale ancora la pena investire lì?
La Libia è stato un mercato molto importante per molte imprese italiane, dalla grandissime alle PMI, e ancora oggi il potenziale di business nel settore oil & gas e in quelli dei servizi collegati rimane altissimo. È per questo motivo che auspichiamo che si realizzi al più presto un accordo politico che riporti la pace nel paese e migliori condizioni di vita per i cittadini, consentendo agli operatori economici di riprendere l’attività in loco.
Stesso discorso per l’Egitto, dove nel mirino dell’Isis sono finite proprio le attività che riguardano gli stranieri. Quanto è importante per una impresa sostenere questi Paesi, che per storia e geografia sono legati all’Europa e all’Italia?
L’Egitto è un partner economico di primo piano per le imprese italiane e noi speriamo che continuino ad esserci tutte le condizioni politiche atte a garantire la prosecuzione di questa collaborazione.
Possiamo dire che voi, per vocazione e attività, “costruite” il futuro. Ma siete anche molto impegnati nella preservazione dei beni culturali: il teatro La Fenice di Venezia è stato ricostruito anche grazie al lavoro del Gruppo Gemmo. Secondo lei il privato deve avere la possibilità di intervenire sempre più nella tutela del patrimonio storico e artistico?
Certamente. Noi crediamo che un settore come quello dei nostri beni culturali possa trarre massimo vantaggio dall’applicazione di strumenti finanziari fortemente innovativi come quelli della partnership pubblico-privato che, se ben congegnati e applicati, consentono di operare a tutela di un patrimonio artistico che non ha eguali al mondo e che purtroppo soffre di una cronica mancanza di risorse per la sua protezione e valorizzazione.
INDICE Novembre/Dicembre 2015
Editoriale
Monografica
- Lavoro: quel che si è fatto e quel che resta da fare. Intervista a Pietro Ichino
- Lavoro, segno più o segno meno?
- Jobs Act: un piccolo passo verso la competitività
- La contrattazione decentrata: più lavoro e più efficienza
- Salari uguali per tutti? Meno occupazione, più lavoro nero e grigio nel Mezzogiorno
- La via previdenziale all’occupazione: l’illusione della staffetta generazionale
- Più produttività, più garanzie: lo scambio virtuoso tra flessibilità e welfare aziendale
- Reddito di cittadinanza o reddito minimo? Questione di welfare
Istituzioni ed economia
Innovazione e mercato
- Il Paese dell'urbanistica malata
- Cosa cambierà con Netflix e cosa è già cambiato
- La chance del mercato globale per l’impresa italiana: intervista a Francesco Ortolani