Il populismo processuale, nuova puntata del diritto della Gente
Novembre/Dicembre 2015 / Diritto e libertà
Dopo il populismo penale, arriva il populismo processuale: sempre più politici, giornalisti, rappresentanti della non meglio identificata “gente” confondono, per ignoranza o per malafede, misure cautelari con condanne definitive, diritti stabiliti dalla legge con privilegi immotivati e imputati con colpevoli. Quali effetti questo abbia sull’opinione pubblica, già di per sé non molto disposta a cogliere le sfumature del diritto, è facile da intuire.
Non senza un certo disagio abbiamo dovuto fare il callo al populismo penale: scelte legislative di risposta ad allarmi sociali sempre più mediatici che reali (dallo stalking al femminicidio all’omicidio stradale), con reati ed aggravanti in cui non si distingue la prevenzione generale della criminalità dalla pura e semplice propaganda. Adesso ci tocca anche fare i conti con l’altrettanto pericoloso populismo processuale.
Domenica 8 novembre 2015, tre non meglio precisati “antagonisti” tra i 22 e i 25 anni, incensurati, vengono arrestati (o, a seconda della fonte, fermati) per i disordini inerenti alla manifestazione contro la Lega Nord a Bologna. Saranno processati per direttissima, per i reati di lesioni e oltraggio a pubblico ufficiale. Ma a Matteo Salvini non basta. Lui li ritiene “già liberi”, omettendo un particolare non irrilevante: saranno presto processati con un rito speciale che garantirà la speditezza del procedimento (mediante il salto dell’udienza preliminare e della fase predibattimentale).
In aggiunta, lo stesso leader della Lega Nord si premura di specificare che la giustizia italiana “fa schifo”, previo raffronto tra i ragazzi “dei centri a-sociali”, che non avrebbero passato neanche mezza giornata in carcere dopo aver picchiato un poliziotto, ed Ermes Mattielli, condannato a cinque anni “per essersi difeso dai ladri”.
A rincarare la dose ci pensa nientemeno che il Ministro Angelino Alfano: “Noi con le nostre forze di polizia li abbiamo arrestati. I magistrati li hanno scarcerati”.
Chiariamo: i magistrati presto processeranno quei ragazzi e, qualora ne dovessero riconoscere la responsabilità in ordine ai delitti contestati, li condanneranno. Dopo, magari, si potrà fare un paragone tra i condannati per altri delitti e i ragazzi dei centri “a-sociali”. Dicitura, questa, peraltro probabilmente funzionale a distinguerli dai ragazzi dei veri centri “sociali”, ossia quelli di estrema destra, evidentemente non ruspabili da Salvini, per ovvie ragioni.
Fintanto che il processo non incomincia, non ha senso confrontare questo caso con altri che sono arrivati a definizione con sentenza. Scambiare la mancata applicazione della custodia cautelare in carcere per una liberazione definitiva è un errore grave. La confusione tra misure cautelari coercitive e pene vere e proprie è figlia di un equivoco in cui si può cadere da profani, malamente abituati a veder spacciata qualsiasi coercizione della libertà personale come una forma di anticipazione della pena. È intollerabile, però, il tranello teso da certa informazione e certa politica all’opinione pubblica, che, priva di cognizioni specifiche, finisce col ritenere che i tre ragazzi resteranno impuniti.
L’arresto in flagranza, obbligatorio o facoltativo, da parte di agenti o ufficiali di polizia, e il fermo di indiziato di delitto, applicabile dal Pubblico Ministero (o dagli ufficiali o agenti di polizia giudiziaria, qualora egli non abbia ancora assunto la direzione delle indagini), sono disciplinati dagli artt. 380, 381 e 384 c.p.p. Si tratta di misure precautelari. Esse comprimono, in via provvisoria, per casi eccezionali di necessità e urgenza, la libertà personale. Il tutto sul presupposto della flagranza, per l’arresto, e dell’esistenza di gravi indizi di colpevolezza e di pericolo di fuga o dell’impossibilità di identificare l’indiziato, per il fermo.
I delitti per cui si può provvedere con misure del genere sono precisamente individuati dal legislatore, sia attraverso la tipologia e la gravità delle pene previste, sia attraverso un’elencazione nominale delle singole categorie di reato. Il dettaglio descrittivo e procedimentale è dato dal legislatore in ossequio al principio costituzionale di inviolabilità della libertà personale, a cui le misure precautelari fanno eccezione espressamente consentita dall’art. 13 comma 3 Cost. È proprio la natura eccezionale dell’arresto e del fermo che deve far ritenere che le maglie della normativa non possano essere dilatate in via interpretativa, onde evitare di svuotare di contenuto la lettera della Costituzione.
Se non ricorre un caso di liberazione immediata, l’art. 386 c.p.p. dispone che al più presto, e comunque non oltre le ventiquattro ore successive, l’arrestato o il fermato venga messo a disposizione del Pubblico Ministero col relativo verbale (che contiene le circostanze e le motivazioni della misura precautelare adottata). Entro quarantotto ore dall’arresto o dal fermo, il Pubblico Ministero, qualora non debba ordinarne l’immediata liberazione, a norma dell’art. 390 c.p.p., richiede la convalida della misura adottata al Giudice per le indagini preliminari. Questi fissa l’udienza di convalida al più presto o comunque entro le quarantotto ore successive, dandone immediatamente avviso alle parti. Tutti i termini di cui sopra sono previsti a pena di inefficacia del provvedimento. L’udienza di convalida è disciplinata dall’art. 391 c.p.p. ed i suoi esiti possono essere l’immediata liberazione dell’arrestato o del fermato, o l’applicazione di una misura coercitiva, se ricorrono i gravi indizi di colpevolezza di cui all’art. 273 c.p.p. e taluna delle esigenze cautelari previste dall’art. 274 c.p.p.
Sullo specifico caso di cronaca, al momento in cui Strade va in stampa, sappiamo ben poco, vista l’esiguità (e la contraddittorietà) delle notizie riportate sulla stampa nazionale. Pertanto, possiamo solo formulare ipotesi di verosimiglianza e ritenere che l’arresto o il fermo siano ormai inefficaci o non siano stati convalidati o che la convalida sia avvenuta ma non vi fossero i presupposti per l’applicazione di misure coercitive, per mancanza di concrete esigenze cautelari, perché non vi era pericolo di fuga, di reiterazione dei reati o di inquinamento delle prove.
Ipotesi che non deve destare particolare allarme, se si tiene fermo il senso stesso delle cautele di questo tipo, che non può certo essere l’anticipazione della pena. Dovremmo ritenere che la dilazione dell’udienza dibattimentale sia dovuta all’assegnazione di un termine per preparare la difesa; potremmo ragionare su quel che appare più probabile, in una vicenda ancora aperta ad ogni possibile esito, ma che già desta allarme per il solo fatto che non sia stata disposta la carcerazione preventiva come panacea di tutti i mali, in senso criminologico.
L’art. 13 comma 2 Cost. afferma il principio dell’inviolabilità della libertà personale, riservando alla legge i casi e i modi in cui essa può essere limitata. A tal proposito, l’art. 272 c.p.p. chiarisce quali norme del codice si occupano di limitare la libertà personale mediante misure cautelari. Ebbene, al di fuori di questi casi, si ritiene che non vi sia una giustificazione legale per privare di un proprio diritto costituzionalmente garantito la persona sottoposta alle indagini o al processo.
Il populismo processuale, invece, con la sua furia repressiva, si spinge a tal punto da non tollerare che un imputato possa difendersi a piede libero. È già tanto, secondo la vulgata degli amanti del tintinnio delle manette e/o del ritmo delle manganellate, che all’imputato venga concesso di difendersi, invece di essere giustiziato a sangue freddo. Certa politica fa leva sui bisogni del mondo contemporaneo che, come noto, si caratterizza per la velocità dei traffici e delle comunicazioni. Si domanda lo strepitus fori, prima ancora della condanna o del processo, inteso come scontro giusto e legale tra parti ad armi pari.
Prima ancora della punizione esemplare, si domanda un processo esemplare, con un imputato presentato in udienza magari in catene, con una bella palla al piede, pesante come le sue certissime colpe, tra le sbarre e gli sputi della Gente, come catarsi della società in cui “L’onestà andrà di moda”.
INDICE Novembre/Dicembre 2015
Editoriale
Monografica
- Lavoro: quel che si è fatto e quel che resta da fare. Intervista a Pietro Ichino
- Lavoro, segno più o segno meno?
- Jobs Act: un piccolo passo verso la competitività
- La contrattazione decentrata: più lavoro e più efficienza
- Salari uguali per tutti? Meno occupazione, più lavoro nero e grigio nel Mezzogiorno
- La via previdenziale all’occupazione: l’illusione della staffetta generazionale
- Più produttività, più garanzie: lo scambio virtuoso tra flessibilità e welfare aziendale
- Reddito di cittadinanza o reddito minimo? Questione di welfare
Istituzioni ed economia
Innovazione e mercato
- Il Paese dell'urbanistica malata
- Cosa cambierà con Netflix e cosa è già cambiato
- La chance del mercato globale per l’impresa italiana: intervista a Francesco Ortolani