Bufale al potere - 1. Il senso di Trump per le bugie
Marzo/aprile 2017 / Monografica
Stragi in Svezia o ad Atlanta, naturalmente a opera di “terroristi islamici”, mai avvenute. Tassi di criminalità e disoccupazione altissimi, completamente inventati. Un’invasione di minacciosi immigrati clandestini mai esistita. Falsità completamente slegate dai dati, che però, facendo leva su paure e incertezze del popolo americano, hanno funzionato e permesso a Donald Trump di diventare presidente.
“Questa carneficina americana finisce qui e finisce adesso” annunciava Trump il 20 gennaio scorso durante il suo insolito discorso di insediamento, mentre Dio apriva le nuvole permettendo al sole di fare capolino. Almeno così racconterà il giorno seguente davanti ai frastornati agenti della CIA, nonostante abbia continuato a piovere, come dimostrano i video, dando inizio a una serie inarrestabile di dichiarazioni senza riscontro dove la realtà diventa semplicemente uno dei tanti modi di vedere le cose, dove si ha il diritto di presentare “fatti alternativi” a sostegno dei propri argomenti anche se questi crollano davanti alle prove, come delle semplici foto.
Mr. Trump non ha cominciato certo quel giorno a raccontare storie anche al limite del delirio – come quando insinuò che il padre di Ted Cruz, suo rivale alle primarie repubblicane, abbia avuto un ruolo nell’assassinio di JFK – ma da quel giorno occupa il gradino più in alto della amministrazione americana, dove la fiducia dei cittadini ha un peso importante. Nonostante tutto, lo staff della Casa Bianca ha deciso di seguire la strada tracciata dal nuovo comandante in capo.
Se nel mondo della politica è normale “piegare” gli avvenimenti in base alle proprie necessità, le performance finora offerte da Kellyanne Conway, consigliera del presidente, Sean Spicer, portavoce della Casa Bianca, e dallo stesso Trump sono state eccezionali. Certamente mentire sul meteo dell’insediamento e le dimensioni del pubblico sono quisquilie, anche se rappresentano bene il nuovo modo di comunicare. Martellando sull’idea che ci sia un massacro costante degli americani, nell’arco di un solo mese tutti e tre sono riusciti a portare alla ribalta tre tragedie terribili, due negli Stati Uniti e una in Europa, a volte nascoste dai media, ma, ahiloro, tragedie mai avvenute. Tutto per difendere il famigerato travel ban.
La Conway ha dato il via in un’intervista televisiva, accusando i media di non aver dato copertura adeguata al Bowling Green Massacre, in Kentucky, dove due rifugiati iracheni “radicalizzati” sono stati gli artefici di una strage. Davanti all’indifendibilità di un massacro mai avvenuto ha sostenuto di aver semplicemente fatto un errore “onesto”, intendeva dire infatti terroristi e non massacro, nonostante avesse sostenuto la tesi della strage in altre due interviste precedenti, indicando addirittura i militari americani come vittime.
Pochi giorni dopo Sean Spicer, capace di sostenere contemporaneamente, nella stessa conferenza, sia che non esistano numeri ufficiali di nessuna inaugurazione e sia che quella di Trump sia stata la più grande di tutti i tempi, elencando le precedenti stragi avvenute sul suolo americano, inserisce tra le famose Boston e San Bernardino un evento successo ad Atlanta. E non lo fa una volta sola, ma, come la sua collega, in tre diverse occasioni. In seguito anche lui si giustificherà dicendo di aver di aver semplicemente confuso Atlanta con Orlando. Nel frattempo la Casa Bianca prosegue il braccio di ferro con la stampa, accusando i giornalisti tutti di non dare adeguata copertura agli attentati terroristici, accusa poi rivelatasi un, diciamo così, “fatto alternativo”.
Qualche tempo dopo una conferenza stampa degna di essere distribuita in DVD, che approfondiremo tra poco, Trump, durante la prima tappa della campagna elettorale 2020 – sì, dopo un solo mese dall’insediamento – racconta ai suoi sostenitori di come l’Europa sia in mano al terrorismo:
“Guardate cosa sta succedendo in Germania. Guardate cosa è successo la scorsa notte in Svezia. Svezia! Chi ci crederebbe mai. Svezia! Hanno fatto entrare un gran numero di persone. Stanno avendo problemi come non avrebbero mai immaginato.”
Come in una sorta di rito, si ribadisce il concetto per tre volte; non si sa mai, forse dicendolo una volta sola potrebbe non rimanere in mente alla gente. Il problema è che anche questo è un errore: la notte precedente non era successo nulla in Svezia, ma proprio nulla di nulla. Anche in questo caso l’errore è “onesto”: il presidente avrebbe visto un servizio in TV, di un regista americano, che parla di una ondata di criminalità causata dagli immigrati musulmani in Svezia - incremento inesistente secondo le statistiche, che dicono l’esatto opposto, in un Paese che ha visto un solo attentato di stampo islamico 7 anni fa.
La Svezia non è il paradiso in terra e l’integrazione dei grandi flussi di migranti degli ultimi anni sta risultando molto complicata, con occasionali disordini per le strade, ma non ci sono dati che indichino una relazione reale tra immigrazione e crimini. Esistono tanti sottolivelli di complicazioni in ciascuna delle storie raccontate, come per esempio il fatto che il presidente degli Stati Uniti d’America utilizzi la Tv per raccogliere informazioni sul mondo invece che i dati raccolti dalla ventina di agenzie a disposizione del governo americano, ma questi episodi, come il già citato travel ban, o muslim ban, servono come “filling”, riempitivo della narrativa scelta dall’attuale presidenza: “ci stanno uccidendo”.
Del fatto (non “alternativo”) che al momento siano terroristi caucasici e nati nel continente, in Canada e in South Carolina, a rappresentare una minaccia reale non c’è traccia in nessuno dei suoi famosi tweet. La carneficina perpetrata ai danni degli americani è immane e la stampa lo tiene nascosto – tema caro ai fautori delle teorie complottiste – mentre Trump si pone come protettore degli oppressi e dei dimenticati. Non sarebbero solo i musulmani i nemici del popolo statunitense: secondo Trump il tasso di criminalità negli USA è al “massimo degli ultimi 47 anni” (quando invece è vicino al minimo, raggiunto poco tempo fa); il tasso di disoccupazione non è quello che raccontano le statistiche, ma “forse è al 30, forse al 40 o magari al 50%, così mi hanno detto” (la percentuale reale è sotto al 10%). Bufale, mezze verità o semplici bugie per tenere sulla corda chi l’ha votato e in questa narrativa si è buttato a capofitto.
Il muslim ban è stato l’unico executive order finora degno di nota con reali conseguenze (gli altri sono stati più che altro documenti di orientamento del nuovo corso e norme antiecologiste), e rientra perfettamente nello schema disegnato da una presidenza che punta il dito contro sette nazioni che non hanno prodotto neanche un morto sul territorio USA, usando come giustificativo gli attentati subiti finora, anche quelli finti. Nessuno però degli attentatori dell’11 settembre veniva da quei Paesi, e, nel caso dei tre più recenti attentati citati prima, si tratta di persone di origine pakistana, afghana, cecena, alcune addirittura nate su suolo americano. La scelta di quali Paesi colpire col ban è stata addossata alla precedente amministrazione che avrebbe creato questo elenco di nazioni, dettaglio verissimo, ma per tutt’altro scopo: questi sarebbero le destinazioni da tenere d’occhio in quanto zone di possibile reclutamento come foreign fighters di cittadini americani e non.
Come una specie di cerimonia di chiusura, la conferenza stampa tenuta pochi giorni prima della gaffe con la Svezia racchiude perfettamente il primo mese di presidenza Trump: capacità di espressione da uomo della strada, attacchi alla stampa e dati sbagliati. Vero che comunicare con lo stesso linguaggio del popolo potrebbe essere visto come un plus, una rottura rispetto alla formalità obamiana: lo stesso però non si può dire per gli altri due punti. Come un fiume in piena il Presidente affronta tantissimi argomenti con il suo solito stile: confuso.
Per Trump all’improvviso i sondaggi tornano ad essere affidabili e non più “truccati” dopo che uno di questi ha indicato in un confortante 55% l’approvazione degli elettori, scesa subito dopo, mentre tutti gli altri raccontano una storia diversa. Cita Messico e Australia tra le telefonate positive dei giorni precedenti quando in realtà ha rischiato un incidente diplomatico con entrambi i Paesi per motivi futili. Non poteva mancare l’appuntamento fisso con la “più grande vittoria elettorale collegiale dopo Reagan” con 306 grandi elettori: nella realtà sono 2 in meno, e solo le due campagne di Bush Junior hanno ottenuto numeri inferiori. Trump ha fatto presente che “tutte le questioni ambientali sono molto importanti” per lui mentre il partito rimuoveva le norme sullo scarico di polveri di carbone nei fiumi e si apprestava a firmare nuovi ordini contro le limitazioni di emissioni di anidride carbonica.
Trump ha dimostrato ancora una volta quali siano le sue vere fonti di informazioni, sostenendo che il tribunale responsabile per il blocco del ban fosse quello con il numero “record” di sentenze ribaltate dalla Corte Suprema, come sostenuto dalla Fox. Il numero dichiarato in sala stampa è vicino a quello corretto ma non è il tribunale peggiore, si piazza al terzo posto. Altro cavallo di battaglia della scorsa campagna elettorale, sponsorizzata dalla media company Breitbart, il ribadire che Hillary Clinton avrebbe regalato il 20% delle riserve di plutonio alla Russia, quando invece il ruolo sostenuto dall’allora Segretario di Stato era stato minimo e ininfluente nella questione Uranium One.
Secondo Trump gli Stati Uniti che ha ereditato sono un “disastro”, la situazione mondiale è un “disastro”, la sicurezza delle città è un “disastro”, l’Obamacare è un “disastro”, il mondo è pieno di persone “cattive”, l’ISIS “si sta diffondendo come un cancro”, “tutto il mondo approfitta” della bontà degli USA e un olocausto nucleare con la Russia sarebbe come “nessun altro olocausto”. La stampa verrà di lì a poco definita come “nemico del popolo americano” mentre il rapporto di Trump con la Russia, sicuramente non un Paese amico degli americani, è ancora poco chiaro.
Solitamente, nei primi cento giorni, una nuova amministrazione cerca di spingere le proprie azioni puntando sull’ottimismo, mentre Trump continua sulla strada che l’ha portato al vertice: la paura. Durante un’intervista in campagna elettorale, un reporter gli fece presente più volte che i crimini violenti sono in calo da anni, che i numeri dimostrano che l’America è meno pericolosa, che i dati che lui e il suo staff stavano diffondendo erano sbagliati. “Questo è quello che sentono gli americani”, è stata la risposta di un suo collaboratore, confermata da Rudolph Giuliani durante il convegno GOP di luglio: gli americani si sentono meno sicuri. La strategia è chiara: sono le emozioni degli americani quelle da cavalcare, non i dati e i fatti reali.
È stata la paura a far chiudere gli occhi agli americani sulle fake news della nuova amministrazione e a spingerli a dare ai repubblicani carta bianca per sentirsi più sicuri. Il prossimo obiettivo della presidenza Trump potrebbero essere i diritti civili, vanto della precedente amministrazione, e la tensione sale di giorno in giorno. Rimane ora da capire quanto le nuove emozioni, rabbia e delusione, influenzeranno il cammino da qui alle midterm del 2018 e quanto saranno bravi questa volta i democratici a sfruttarle.
INDICE Marzo/Aprile 2017
Editoriale
Monografica
- Quanto dura una bufala? Un caso di scuola
- Bufale al potere - 1. Il senso di Trump per le bugie
- Bufale al potere - 2. La guerra ibrida del Cremlino
- L'odio di ieri e l'odio di oggi
- La lingua e le parole dell'odio, ora come allora
- Torna di moda il ‘capro espiatorio’ per non fare i conti con la realtà
- Inseguire i populisti sul terreno dell’odio? Non funziona
- Fake news e post-truth. Come ne usciamo senza farci male?
Istituzioni ed economia
- Il 4 dicembre non è stata la nostra Brexit
- Britannici e ucraini nell'Unione. Le 'due velocità' utili all'Europa
Diritto e libertà
- La morte buona, tra la politica e i tribunali
- L’Europa dei diritti contro la tirannia delle maggioranze
- I punti critici del Consultellum. Non spetta alla Corte fare buone leggi elettorali