Nella giornata dedicata al fact-checking, qualche riflessione su come si sta comunicando l’ondata di morbillo che sta colpendo il nostro Paese.

vaccino

Ieri ho fatto ai miei contatti su Facebook un banale pesce di aprile. Ho infatti pubblicato la foto di una lettera di ammissione all’università di Stanford, scrivendo quanta gioia e sorpresa avesse portato nella mia famiglia. La particolarità dello scherzo stava nel fatto che era tutto assolutamente vero. La lettera era autentica, così come sincero era il mio entusiasmo. Avevo solo tagliato l’intestazione iniziale, da dove si deduceva chiaramente che l’intestatario della missiva non era mio figlio, ma la sua migliore amica, a tutti noi molto cara.

Non era una bufala, non era una fake news. Un sistema automatico di riconoscimento avrebbe confermato che lo stile del testo o le informazioni fornite erano compatibili con quelle ricevute da tutti gli altri prescelti a frequentare il prestigioso ateneo americano; davanti a qualunque commissione potrei dimostrare di non aver scritto nulla di falso, perché la notizia aveva davvero colpito tutti noi. Eppure, a parte chi ha fatto caso alla data del primo aprile, molti hanno creduto che il post si riferisse a mio figlio. Cosa che, ahimè, è ben lontana dall’essere vera.

Il gioco mi è servito per dimostrare praticamente quanto sia difficile, se non impossibile, opporsi alla disinformazione circolante con algoritmi, crociate o "giornate antibufale" come quella proclamata per oggi. E lo è perché ogni verità comprende fatti inequivocabili, ma anche un contesto nel quale questi vanno inseriti. Gli stessi fatti possono essere distorti, oppure anche riportati correttamente, ma sottolineando, o nascondendo, dei dettagli, così da utilizzarli ai propri scopi. Come ho fatto io, tagliando l’intestazione della lettera, e facendo credere che fosse rivolta a mio figlio.

Prendiamo l’allarme morbillo. È un falso allarme? Assolutamente no. Più di 1.000 casi dall’inizio dell’anno, di una malattia seria, la più contagiosa che conosciamo, con un alto tasso di complicanze gravi, non è certo cosa da poco. Presto qualcuno potrebbe lasciarci la vita, come è già capitato in passato in Italia o anche recentemente in Svizzera. Molti altri potrebbero vedere l’esistenza propria o dei propri figli devastata dalle conseguenze della PESS, la panencefalite sclerosante subacuta. Anche senza questi esiti drammatici e irreversibili, i costi umani ed economici della malattia sono altissimi. Eppure tutto questo si potrebbe facilmente evitare con la vaccinazione, grazie alla quale molte aree del mondo sono riuscite a eliminare la circolazione del virus.

 

Una bufala dura a morire

Non mi soffermerò sul perché nella regione europea abbiamo per ora fallito l’obiettivo, ma certamente una grossa responsabilità in questo è da attribuire alla truffa di Andrew Wakefield, il pediatra inglese che nel febbraio del 1998 pubblicò su The Lancet uno studio farlocco condotto su soli 12 bambini con disturbi dello spettro autistico, insinuando il sospetto che questi fossero correlati alla vaccinazione contro morbillo, parotite e rosolia.

Una bufala? Oggi non ci sono dubbi che lo sia. Costruita a tavolino, per interessi economici che in seguito furono chiaramente svelati e portarono alla radiazione del medico dall’ordine. Ma, sulla base dei criteri proposti per discernere tra fonti attendibili o no, i genitori di allora non avevano tutti i torti a preoccuparsi: il legame con l’autismo era suggerito da un medico che solo molto tempo dopo si sarebbe rivelato un ciarlatano; lo studio era stato pubblicato su una delle riviste mediche più prestigiose e affidabili del mondo. Gli esperti potevano essere scettici per lo scarso, quasi insignificante dal punto di vista statistico, numero di bambini considerati o per le modalità di conduzione del lavoro, ma pretendere questo tipo di analisi da parte del pubblico è forse troppo.

Nessuno comunque prese sotto gamba l’ipotesi: mentre il giornalista Brian Deer svelava gli interessi economici per cui Wakefield aveva architettato quella che ormai è riconosciuta come una clamorosa frode, centinaia di medici e ricercatori condussero decine e decine di studi, su centinaia di migliaia di bambini, sani, autistici e con familiarità per questo disturbo, dimostrando ormai inequivocabilmente che la vaccinazione non c’entra. I fatti sono questi, su questo non si discute.

Allo stesso modo non si discute che oggi in Italia si stia verificando una preoccupante ondata di morbillo, con oltre un migliaio di casi notificati dall’inizio dell’anno. Altrettanto certo è che non dovremmo preoccuparci di questo se almeno il 95 per cento della popolazione fosse immune, perché è vaccinata o ha già fatto la malattia. Questa massa di persone, se fosse equamente distribuita, farebbe da scudo nei confronti dei più piccoli, sotto i 15-18 mesi, che ancora non si possono vaccinare, di coloro che pur essendo vaccinati non hanno sviluppato una risposta immunitaria adeguata (non responder), delle persone immunodepresse che rischiano di soccombere all’infezione.

 

Un’ondata di morbillo e di disinformazione

La comunicazione su quel che sta accadendo, però, lascia molto a desiderare, uniformandosi più che ai fatti alla narrazione prevalente: tutto è colpa dei genitori creduloni, vittime della disinformazione che corre in rete, che si fidano di dottor Google e che così, irresponsabilmente, hanno fatto calare la copertura per questa malattia al di sotto della soglia del 95% entro i 24 mesi di età, indicata universalmente dalle autorità sanitarie come obiettivo da raggiungere e mantenere. Corollario di questa interpretazione semplicistica è che la soluzione sia altrettanto semplice: si obblighino i genitori a vaccinare i loro figli, e in men che non si dica avremo risolto la questione.

A chi non piace sentirsi dire, davanti a una situazione difficile, che una via d’uscita c’è, è facilmente praticabile, e se non si attua è solo per colpa degli altri? Gli antivaccinisti convinti sono piccole percentuali di genitori, una goccia nel mare della popolazione generale. Questa comprende persone di tutte le età, comprese quelle che hanno fatto a tempo a vedere gli effetti di malattie come la polio o la difterite. Azərbaycanın ən yaxşı onlayn kazinoları https://azerikazino.online kazino oynamaq. Facile incitare questa folla contro la minoranza che minaccia il bene comune, sbeffeggiata e ingigantita nell’immaginario collettivo.

Così, l’ondata di morbillo del 2017 viene dipinta come una situazione mai vista prima e dovuta al calo percentuale di coperture che si è verificato negli ultimi anni. Nessun cenno a possibili altre cause. Un comunicato del Ministero emesso a metà marzo sottolineava che dall’inizio dell’anno si era verificato il 230% di casi in più rispetto allo stesso periodo del 2016, un dato ripreso con grande enfasi da tutti gli organi di informazione. Il fenomeno, nel testo del comunicato, è attribuito in gran parte “al numero crescente di genitori che rifiutano la vaccinazione, nonostante le evidenze scientifiche consolidate e nonostante i provvedimenti di alcune regioni che tendono a migliorare le coperture, anche interagendo con le famiglie e i genitori”.

In altre parole, dipende dal fatto che la percentuale di bambini vaccinati sotto i due anni contro questa malattia è in costante calo, soprattutto a causa delle bugie sul presunto legame di questa vaccinazione con l’autismo. E si è verificato “nonostante” i provvedimenti di alcune regioni, con un evidente riferimento all’introduzione dell’obbligo per l’accesso ad asili nido e materne. Un obbligo appena introdotto che non può certo avere effetti retroattivi e che soprattutto, con l’eccezione della Toscana, non riguarda affatto il morbillo.

Il titolo del comunicato, poi, va anche oltre, invocando, come rimedio, una “piena applicazione del piano vaccini”. Un riferimento incomprensibile, dal momento che il nuovo piano dovrebbe rendere uniforme e gratuita su tutto il territorio nazionale l’offerta vaccinale più completa e aggiornata, ma non incide su quella del vaccino contro morbillo, parotite e rosolia, che è già raccomandato e offerto gratuitamente ovunque. Anzi, qualcuno teme che sovraccaricando di lavoro con tante nuove vaccinazioni i servizi, già allo stremo, questi faranno sempre più fatica a recuperare il terreno perduto sul morbillo e raggiungere le coperture richieste. Non sono bufale, queste, ma un modo di comunicare che finisce per confondere le acque, impedendo di vedere con chiarezza il succo del problema per poterlo affrontare in maniera efficace.

 

Un’epidemia mai vista prima o un fenomeno “normale”?

Il confronto con il 2016 può trarre in inganno, perché nel comunicato, così come negli articoli di stampa, inizialmente non si dice nulla degli anni precedenti. Il morbillo infatti torna periodicamente, con ondate che si susseguono ogni due o tre anni, ed era quindi prevedibile che tornasse a farsi vedere nel 2017, dopo la relativa calma di 2015 e 2016. Avevano torto gli antivaxx quando sostenevano che la malattia non era una minaccia, nonostante il calo delle coperture vaccinali, perché nel primo trimestre del 2015 in Italia si erano verificate solo poche decine di casi sporadici di morbillo, contro le centinaia dell’anno precedente. Ma allo stesso modo non si può ignorare questo aspetto ciclico ora, che la malattia è puntualmente tornata.

L’aumento di casi del 2017 rispetto al 2016 quindi non si può attribuire direttamente al calo di pochi punti di copertura degli ultimi anni, ma al fatto che, fino a quando non si raggiunge la copertura del 95% sufficiente a garantire l’immunità di gruppo, il morbillo fa così. È “normale”? Sì, se per normale si intende quel che accade se non ci si protegge, così come era “normale” avere bambini paralitici per la polio o migliaia di donne che morivano di parto. Non è “normale” però nel senso che va bene così, quando si può evitare che accada.

Per evitarlo, come si è detto, occorre avere il 95% della popolazione immune, badando a quel 5% di suscettibili non sia concentrato, ma distribuito in mezzo agli altri. Altrimenti, come è capitato l’anno scorso in un campo rom dell’hinterland milanese, o come potrebbe succedere spingendo i genitori ostili ai vaccini a isolarsi tra loro, anche con alte coperture si possono verificare focolai di morbillo tra i pochi suscettibili esclusi dal gruppo.

“Il valore del 95%, come si è detto, è convenzionalmente riferito alla fascia di età entro i 24 mesi, perché la trasmissione tipicamente avviene nell’infanzia, ma l’immunità di gruppo vale indipendentemente dall’età” spiega Pier Luigi Lopalco, docente di igiene all’Università di Pisa, già responsabile del Programma malattie prevenibili con vaccino del Centro europeo per il controllo delle malattie di Stoccolma (ECDC).

Nel quadro di oggi, diversamente da un tempo, il punto debole infatti non sono più solo i bambini piccoli. Solo così si spiega perché le regioni più colpite nel 2017 sono Piemonte e Lombardia, dove si hanno tassi di copertura entro i 24 mesi di età tra i più alti di Italia. Per quanto riguarda la Lombardia poi, va anche detto che, oltre a essere al centro di scambi e movimenti di persone a livello nazionale e internazionale, è la regione più popolosa d’Italia, quasi il doppio rispetto a quelle che la seguono. Considerare il numero assoluto di casi, e non l’incidenza della malattia rispetto alla popolazione generale, può quindi far sovrastimare il fenomeno lì rispetto ad altre Regioni in cui se ne sono verificati di meno.

 

Una malattia dei giovani adulti

Il fatto più rilevante che emerge dai dati del Bollettino dell’Istituto Superiore di Sanità è però che tre quarti dei colpiti sono adulti, soprattutto giovani, che si trovano in una terra di mezzo in cui non hanno incontrato il virus da bambini, come quasi tutti i più anziani, ma non hanno nemmeno ricevuto il vaccino al momento della sua introduzione, che per molti anni non riuscì a essere capillare. Oppure non hanno ricevuto una seconda dose di vaccino, che inizialmente non era prevista, e oggi è considerata necessaria per consolidare l’immunità contro la malattia.

“Raggiungere il 95% di copertura nei 24 mesi è solo un pezzo della strategia, quello che l’Organizzazione mondiale della sanità chiama keep-up” prosegue Lopalco. “E lì centrano i genitori dubbiosi. Il secondo pezzo, altrettanto importante, è il catch-up, cioè il recupero di adolescenti e adulti suscettibili. Ed è per la mancanza di campagne di catch-up che in Italia, come nel resto d’Europa, il morbillo non si riesce ad eliminare e le epidemie si verificano in adulti sempre più avanti con gli anni. E lì non c’entrano i genitori, ma carenze della sanità pubblica”.

Particolarmente preoccupante poi è il fatto che circa il 10% delle persone colpite fossero operatori sanitari e ancora di più quelli che dai sanitari sono stati contagiati: segno che l’offerta attiva della vaccinazione degli ospedali a tutela dei lavoratori e dei pazienti affidati alle loro cure è ancora insufficiente.

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Il quadro che emerge dai dati, quindi, è profondamente diverso da come viene dipinto. Non c’è dubbio che si debbano vaccinare contro il morbillo tutti i bambini, ma anche una copertura del 100% sotto i 2 anni non impedirebbe al virus di circolare tra gli adulti minacciando tutti i suscettibili, compresi gli immunodepressi, i non responder e i bambini piccoli. Serve a poco, per esempio, che in un nido siano vaccinati contro il morbillo tutti i piccoli oltre l’anno e mezzo, se non lo sono le educatrici, la cuoca o la bidella. Conta poco che abbiano ricevuto i quattro vaccini obbligatori (polio, difterite, tetano ed epatite B) i compagni dell’asilo, se poi un bambino con la leucemia rischia di essere contagiato di morbillo da un’infermiera.

Il morbillo ha cambiato faccia, non è più solo “una malattia esantematica dell’infanzia”. Continuare a pensarlo così, ignorando i dati, espone al rischio di elaborare strategie inefficaci, perché mirate solo a un target da non trascurare, ma che al momento non è più rilevante. Presentarlo così, come non è, è post-verità? Certo la forza della narrazione comune è prorompente, se acceca perfino uno dei migliori e più importanti giornalisti italiani, facendogli dire che su 1000 casi di morbillo, 900 sono di bambini non vaccinati, quando, escludendo i più piccoli che non potrebbero esserlo, questi sono meno del 20%.

mentanafbvaccini

Meritava il marchio antibufala questo post? Mentana andrebbe etichettato come diffusore di disinformazione? Certamente no. Ma questa storia mostra la difficoltà di definire con l’accetta situazioni complesse e sfumate.

La giornata antibufale, stabilita proprio a ridosso del primo di aprile, rischia di mettere in luce tutta l’ingenuità di questa iniziativa. Fare chiarezza serve. Ci vuole qualcuno che racconti i fatti per quel che sono. Ma ancora di più serve l’umiltà di ammettere che tutti, perfino coloro che sono animati dalle migliori intenzioni, sono vittime dei propri pregiudizi, che possono distorcere qualunque fatto. Ed è un attimo creare, anche involontariamente, un contenuto oggettivamente falso. Figuriamoci solo presentato in maniera strumentale.

Ma la posta in gioco è alta: la trasparenza e la correttezza delle informazioni sono alla base della fiducia, che secondo le principali istituzioni sanitarie internazionali (qui alcuni documenti di OMS e ECDC), è uno dei punti più importanti su cui lavorare per contrastare il fenomeno dell’esitazione e del rifiuto nei confronti dei vaccini. Guadagnarsela è un lavoro lungo e faticoso. Perdersela, magari per un banale pesce d‘aprile, invece è un attimo.

@RobiVil