Un venerdì sera qualsiasi, di qui a non molto. Il dado è tratto, l'Italia esce dall'euro e riconquista l'agognata sovranità monetaria. Ma prima ancora di trovare il tempo di chiedersi cosa farne, di questa benedetta sovranità, arrivano le prevedibilissime sorprese, a valanga. E il risveglio nel day after sarebbe tutt'altro che sereno.

puglisi - Copia

Eccoci qua. L'ora delle decisioni irrevocabili è finalmente giunta: venerdì sera il Presidente del Consiglio Claudio Borghi annuncia a reti unificate che l’Italia ha unilateralmente deciso di uscire dall’euro, e dunque recupera la sua agognata sovranità monetaria. Il presidente Borghi queste cose le sa, e dunque l’annuncio viene fatto quando i mercati finanziari sono chiusi, e con loro le banche. Di solito riaprono il lunedì, ma in questo caso va specificato per bene quale lunedì. Lo ammise lo stesso Borghi qualche anno addietro, prima di sostituire Matteo Salvini come premier, e quando era ancora suo consulente economico, nel famoso libretto divulgativo Basta €uro: “[…] l’unico incomodo sarà che probabilmente durante la conversione, per alcuni giorni, sarà necessario chiudere le banche per impedire speculazioni […]”.

La faceva facile il presidente Borghi allora nella sua veste di consulente, ma al momento del “dunque”, cioè dell’uscita effettiva dall’euro, gli tocca anticiparla di due settimane rispetto alla data prefissata, poiché nelle settimane precedenti il sistema bancario italiano è stato molto vicino all’andare in pezzi. Che cosa è successo in quei giorni concitati?

Nessun complotto, non preoccupatevi, ma si dà il caso che non è facile tenere il segreto in un paese di 60 milioni di abitanti, in cui all’incirca l’un percento (600,000) è occupato nel settore bancario e finanziario. Naturalmente non si tratta di 600,000 amministratori delegati che sono dentro le secrete cose, ma capita sovente che le informazioni trapelino dai piani alti ai piani bassi: perché mai il dirigente generale X della banca Y non deve far sapere ai suoi più affezionati collaboratori che cosa bolle nel pentolone, cioè l’uscita dell’Italia dall’euro? Non saranno i diecimila euro prelevati dal proprio conto corrente da parte di ciascuno di questi collaboratori a far andare male l’operazione! E invece la notizia si è diffusa come un brivido freddo lungo la schiena del corpaccione produttivo italiano, e giorno dopo giorno vedevi sempre più coda allo sportello della tua banca, la tua fidata –e un po’ cara- banca dove tieni i tuoi risparmi, tanti o pochi.

I cittadini più sofisticati hanno prelevato solo una parte dei propri risparmi in banca, mentre la parte maggiore l’hanno investita in obbligazioni denominate in dollari, sterline o franchi svizzeri; molti altri cittadini hanno ritirato quasi tutto dal conto, perché la televisione non ha potuto che parlarne, e raccontare del rischio che la nuova lira valga il 30 percento in meno rispetto al vecchio euro. Il numero è bello tondo: ho mille euro sul mio conto corrente, e sono mille euro che negli altri paesi della famosa Eurozona valgono ancora mille euro: se li prelevo e li tengo in casa, nessuno verrà a stampigliarmeli per certificare che sono euro italiani, euro che si devono tramutare in lire. E se li lascio in banca? Valgono 300 euro in meno.

Certo, esperti vicini al presidente Borghi si sono affannati in televisione a sostenere che la svalutazione sarà piccola, e verrà decisa dal mercato, ma gli economisti non così vicini al presidente Borghi hanno ricordato che la scelta stessa di uscire dall’euro ha lo scopo di recuperare la competitività delle imprese italiane attraverso la svalutazione della nuova moneta. Presidente Borghi, ci ricordiamo quando nel suo celeberrimo Libretto Verde lodava l’Inghilterra che era riuscita ad uscire dalla crisi del 2008 grazie al fatto che “la Sterlina si svalutò fortemente”. Ok, allora si dimenticò di menzionare i licenziamenti nel settore pubblico inglese, ma tant’è: ci ricordiamo che la sovranità monetaria serve per svalutare. Svalutate pure, ma svalutate i vostri, di soldi.

Questa era la voce collettiva che – come in un’Aci Trezza 2.0 - giustificava la scelta di prelevare dal conto corrente. E furono code agli sportelli, e furono prelievi, per i più fortunati. Già due banche di medie dimensioni hanno dovuto chiudere gli sportelli mercoledì: finite le riserve, niente sollievo dai prestiti dalle altre banche. E che dovrebbe fare la Banca Centrale Europea, quando ormai i piani di eurexit dell’Italia sono noti e stranoti?

Dunque il venerdì sera successivo a quel mercoledì nero Borghi va in televisione e annuncia a reti unificate l’uscita dall’euro. Molti cittadini si precipitano al bancomat più vicino, che naturalmente non sputa fuori neanche un deca, neanche a pagarlo. Pagarlo con cosa? Siamo a domenica, e sta per finire un altro weekend (cit.), ma questa volta è un weekend diverso, perché il giorno dopo le banche sono chiuse: le operazioni di sostituzione della nuova moneta sono laboriose, e non bastano certamente due giorni e mezzo per completarle: dopo tutto, Borghi l’aveva già spiegato sul suo Libretto Verde.

Non è necessario essere Freud per riflettere sulla componente psicologica del denaro, la quale emerge prepotentemente nel momento in cui esso ti sfugge dalle mani: è vero che lo stanno stampigliando dentro le banche, ma la bocca del bancomat è chiusa-serrata, e le banche sono chiuse. Agli appelli alla calma in TV, adesso chi ci crede più? (cit.)

E adesso che cosa succederà? Intendiamoci: è vero che non ci saranno problemi insormontabili nei rapporti di credito e debito tra cittadini italiani, perché questi vengono riconvertiti automaticamente nella nuova lira, in virtù di quella che i raffinati chiamano la “legge della moneta” (lex monetae). Il problema sta invece nei debiti con soggetti stranieri, che non sono esattamente felici di farsi ripagare “uno a uno” con lire svalutate di almeno un 30 percento rispetto all’euro. Francamente, diciamo (detto con voce di un noto predecessore di Borghi a Palazzo Chigi), diciamo che come minimo ci saranno tante e tante cause in tribunale, e non è nemmeno chiaro quale sia il tribunale competente.

E ammettiamo pure che tutti i nostri creditori stranieri -creditori di cittadini, imprese, banche italiane, e dello stato- accettino di farsi pagare uno a uno in lire (mmmmh, impossibile): che cosa accadrà ai debiti futuri? Un investitore che sia un po’ accorto e che voglia prestare ancora soldi a soggetti italiani –a patto che accetti di farlo- vorrà ottenere un tasso di interesse che lo compensa del rischio di svalutazione futura delle nuove lire. In che modo il presidente Borghi riuscirà a convincere questi investitori che si è svalutato una volta sola, e poi non lo faremo più?

Qui la questione sta nel capire che cosa ne facciamo di questa benedetta, agognata e riagguantata sovranità monetaria: se la utilizziamo per creare inflazione e abbattere il valore del debito pubblico forse ci sistemiamo da un lato ma ci inguaiamo dall’altro (le famose coperte corte dell’economia): il rischio di svalutazione è tanto più alto quanto più elevato il tasso di inflazione interno, e allora ci costerà assai farci prestare i soldi nel futuro, da creditori sia stranieri che italiani. OK, i nostri prodotti diventano più competitivi grazie alla svalutazione, ma i paesi rimasti nell’eurozona hanno già fatto sapere in maniera non molto velata che sono ben pronti a reintrodurre dazi sulle importazioni: l’Italia è uscita in maniera unilaterale dall’euro, perché mai dovrebbe restare nel Mercato Unico?

Il day after dopo l’uscita dell’euro non è dunque il lunedì successivo (lunedì 3), ma bisognerà aspettare due settimane: le banche riapriranno il lunedì 17. Quel giorno riapre la borsa, con un crollo del 21 percento. Il presidente Borghi si trova di fronte a scelte cruciali: che fare dell’indipendenza della banca centrale? Come andranno le prossime aste dei titoli di stato? Quali banche nazionalizzare? Quali lasciar fallire? E che cos'è quel sordo rumore, sempre più forte, che sale dalle piazze?

Borghi legge e rilegge il suo Libretto Verde, in cerca di risposte.

 

Per chi vuole saperne di più:

B. Eichengreen [2010]. “The Breakup of the Euro Area.” In A. Alesina e F. Giavazzi (ed.): Europe and the Euro. Chicago, Chicago University Press. Disponibile qui: http://www.nber.org/chapters/c11654.pdfA.

K. Rose [2013]. “Surprising Similarities: Recent Monetary Regimes of Small Economies.” Haas School of Business, University of California, Berkeley. Disponibile qui: http://faculty.haas.berkeley.edu/arose/Spill.pdf