Tor Sapienza come metafora. La rivolta di un quartiere degradato e assediato dalla violenza si rivolge contro le vittime "perfette" - i rifugiati africani stipati nel centro di via Morandi - ma sbagliate, perché ben poche pagine del romanzo criminale della periferia orientale romana sono state scritte dagli africani ora dirottati in altre strutture di accoglienza. Il mercato della droga e della prostituzione e il controllo criminale del territorio - neppure conteso, ma pacificamente sottratto allo Stato - rimangono saldamente in mani di altri, italiani e stranieri, che è più difficile (e pericoloso) assediare e sfollare.

torsapienza

Che non sia solo il razzismo a produrre i ghetti, ma anche i ghetti a produrre il razzismo è però una lezione che bisognerebbe in fretta imparare e sopratutto non dimenticare. La miseria, spiegava Ernesto Rossi, è come la peste e il vaiolo, un morbo contagioso da combattere e da estirpare ("Abolire la miseria", si intitolava un suo libro celebre e profetico). Non è la condizione umana più autentica e vera, come suggerirebbe la nota catto-foucaultiana che spesso rimbomba nella retorica solidaristica. È invece la condizione che più pone gli uomini, tutti gli uomini, a rischio di disumanizzazione. È un fattore di automatico degrado, non solo sociale, ma antropologico. È una malattia della carne - il bisogno, la fame, l'insicurezza, la paura... - che diventa malattia della spirito. È violenza che diventa violenza.

A questa lettura "scientifica" del degrado sociale occorrerebbe tornare anche per evitare di illudersi che basti l'edificazione morale e civile del popolo - una sorta di educazione civica dispensata via giornali e tv - ad arginare fenomeni come quelli di Tor Sapienza, che hanno anch'essi, proprio perché vincenti, una natura contagiosa. Se le cose vanno come stanno andando, si arriverà presto al paradosso di campi profughi e rom assediati dalla "gente" ufficialmente agli ordini di una criminalità locale bisognosa di consenso e di tranquillità per i propri traffici. Jenny 'a Carogna contro Omar o Adbullah.

Nella progressiva "periferizzazione" delle città italiane, si sommano inefficienze e indifferenze storiche, nel modo di pensare, organizzare e governare la trasformazione dei grandi centri urbani, dacché la fine delle classi novecentesche - non c'è più la borghesia, non c'è più il proletariato - la crisi demografica e un'immigrazione massiccia hanno di fatto imposto forme di organizzazione/disorganizzazione sociale non rispondenti allo schema dell'urbanizzazione seguita alla stagione del boom economico. Si tratta di fenomeni di portata epocale, che quasi tutte le città italiane sono costrette a inseguire dopo avere inanellato colossali ritardi.

Per questo, delle tante Tor Sapienza che affollano l'Italia non sembra possibile nessun governo, ma solo un più o meno spregiudicato uso politico.

L'unica alternativa sembra così essere quella tra l'irresolutezza burocratica dei "sindaci buoni" alla Marino e la demagogia canagliesca dei banditori della caccia allo straniero, ispirati da Casa Pound e guidati dal nuovo leader della Lega, Matteo Salvini. Servirebbe Rudolph Giuliani, una fermezza onesta e inclusiva, intransigente e realistica. Invece politicamente oscilliamo tra i paternoster e le urla della strada.

@carmelopalma