La politica e la razza. Cosa insegna la storia da morto di Ifeanyi Amaefula
Diritto e libertà
Ifeanyi Amaefula, 33 anni, nigeriano, residente a Bergamo, è morto il 25 ottobre 2018 gettandosi da un treno tra i comuni San Germano Vercellese e Olcenengo, provando a sfuggire agli agenti della Polfer. Non aveva fatto il biglietto. Tre mesi dopo, il suo cadavere era ancora all’obitorio di Vercelli.
Il consigliere regionale del Piemonte (e collaboratore di Strade) Gabriele Molinari solleva il caso e si offre di pagare le esequie. Si scopre però che il cadavere del giovane nigeriano non era stato “dimenticato”, ma era finito al centro di una querelle burocratica insensata. L’Asl di Vercelli aveva chiesto al Comune di San Germano di provvedere al funerale e l’amministrazione aveva rifiutato sostenendo che il morto, dal punto di vista burocratico, apparteneva al Comune di Olcenengo. A questo link c’è la macabra cronistoria della vicenda, compreso il contenzioso per una fattura, non pagata, per il recupero della salma.
Il Comune di San Germano, a guida leghista, era finito un anno e mezzo prima al centro di un’altra e analoga polemica per avere adottato una delibera dall’inarrivabile titolo: “Tutela del territorio sangermanese dall’invasione/immigrazioni delle popolazioni africane e non solo. Provvedimenti” volta esplicitamente a impedire, con misure amministrative ostruzionistiche, la locazione o il comodato di immobili nel territorio del comune per l’ospitalità dei richiedenti asilo. Il difensore civico regionale, denunciandone l’illegittimità, aveva chiesto l’annullamento della delibera, contro cui è stato presentato anche un ricorso al TAR, da parte di Igor Boni, in rappresentanza dell’Associazione radicale Adelaide Aglietta, e di Marco Faccioli, cittadino residente a San Germano Vercellese.
Alla fine, il funerale di Ifeany Amaefula si è celebrato a spese del comune di Bergamo, ma a chiudere degnamente (cioè indegnamente) la vicenda è arrivata l’annunciata querela della sindaca di San Germano Michela Rosetta nei confronti del consigliere regionale Gabriele Molinari, accusato – niente di meno – che di avere fomentato l’odio nei suoi confronti e di avere messo a repentaglio la sua vita.
L'Italia “pubblica” di oggi è tutta, con il suo tragico e il suo ridicolo, in questa vicenda ed è bene che ci si specchi impietosamente. In essa c’è, in piccolo, ma comunque in basso, tutto della natura e dei meccanismi di una politica che prima che la posizione razzista rilegittima il paradigma razziale come criterio di appartenenza civile e perfino morale.
Esattamente un anno fa un militante leghista, Luca Traini, è andato sparando per le strade di Macerata contro tutti i “negri” che incontrava e la Lega alle elezioni politiche dopo un mese ha raggiunto, non solo a Macerata, il suo massimo storico. Non ha pagato nulla per quel disgraziato incidente, non solo perché la sorte ha voluto che la mira di Traini non fosse precisa come la sua volontà, ma perché quello razziale aveva già cessato, in Italia, di essere uno stigma sociale, ma era divenuto un distintivo di identità civile. Traini, diciamo così, era un compagno che sbagliava, ma comunque un compagno di quella numerosa compagnia.
Anche il dileggio per il cosiddetto buonismo, cioè per l’umana e naturale pietà nei confronti dei disperati e dei morti non “nostri”, è un corollario di una politica divenuta ufficialmente e (terribile, ma vero) legittimamente razziale. Si possono irridere i “negri” sui barconi – “La pacchia è finita” – si possono abbandonare i “negri” negli obitori innanzitutto perché funziona. Cattivi pensieri e cattivi sentimenti sono diventatii ufficialmente il super-ego politico prevalente e addirittura istituzionale.
Infine, anche questo uso intimidatorio della giustizia per chiudere la bocca a chi non tace e non acconsente a questa deriva appartiene allo stesso repertorio. Anche il richiamo alla pietà, in questo quadro, diventa più “diffamatorio” di quello al disprezzo dei vivi e dei morti.