Da Monti a Salvini. L’Italia 'eterna' ha la faccia di Moavero
Istituzioni ed economia
La morale e la moralità della favola di questi tre mesi di "Governo sì - Governo no" ha la faccia e la storia di Enzo Moavero Milanesi, prima ministro del Governo pro-Ue Monti-Fornero, ora ministro degli Esteri del Governo anti-Ue Di Maio-Salvini.
I due impresari dell’avanspettacolo politico, che hanno portato alla formazione del più rocambolesco, tardivo e improvvisato esecutivo della storia della Repubblica, l’hanno intronato al vertice della Farnesina. Dovrebbe servire, forse, a limitare i danni del neo-ministro ai rapporti con l’Ue, Paolo Savona, e a temperare in senso europeista e atlantista l’inclinazione putiniana e agnosticamente “a-democratica” del nuovo esecutivo.
In realtà rappresenta il trionfo morale e intellettuale di una maggioranza così aperta e generosa (quanto aperta, quanto generosa!) da reclutare tra le sue fila eurocrati compromessi con il Governo accusato di avere asservito l’Italia alle potenze straniere e poi miracolosamente redenti e riconvertiti al servizio del Governo del Cambiamento. Moavero è il “cattivo” del montismo accolto alla mensa del governo populista, dopo avere espiato le proprie colpe.
Il leader leghista che condividerà con Moavero i dicasteri più prestigiosi dell’esecutivo (uno agli Interni, l’altro agli Esteri) ha minacciato di esilio (e di peggio) la ex collega di Moavero, Elsa Fornero (di cui il neo-capo delle feluche votò la riforma previdenziale in Consiglio dei Ministri), arrivando a organizzare iniziative squadriste sotto casa sua. Ma il tecnico europeista non ha remore né imbarazzi, a quanto pare, a sedere di fianco allo squadrista, visto il prestigio e la committenza del suo nuovo incarico ministeriale.
Moavero è il fortunato “salvato” che sguscia dalla trappola della sospetta austerità germanofila verso una patriottica diffidenza germanofobica (quella del suo sorvegliato speciale Savona, per cui la signora Merkel è la sinistra epigona di un hitlerismo non militarista, ma altrettanto egemonico e imperialistico). Moavero è un montiano rinnegato e quindi utilissimo alla propaganda del Cambiamento, come i traditori che nella giustizia inquisitoriale o stalinista confessavano il proprio errore, denunciavano i propri complici e riconquistavano così, a prezzo della vita altrui, la propria dignità perduta.
Moavero però non serve a controbilanciare Savona, ma a legittimarlo, a garantire retoricamente la correttezza europeista di un esecutivo di sfasciacarrozze che pensano di presentarsi a Bruxelles con la pistola del piano B (il colpo di stato finanziario, l’uscita notturna dall’euro) per ottenere l’autorizzazione a finanziare in deficit cento e fischia miliardi di euro di cambiali elettorali contratte con il “Popolo”.
Non è un garante, è un semplice paravento. È una maschera, che il Governo potrà indossare quando giurerà di non volere quello che i partiti della maggioranza hanno invece promesso ai rispettivi elettori: di uscire dall’euro, come diceva Salvini (“basta €uro” era scritto fino a pochi giorni fa sul muro di via Bellerio), anzi, come precisava recentemente Grillo, dal “campo di concentramento monetario.
Come il Presidente del Consiglio, lo sconosciuto e impalpabile Conte, uno che sta lì perché non è nulla, se non una “funzione”, anche Moavero rappresenta il senso di vuoto, di inconsistenza, di totale reversibilità politico-intellettuale e quindi di completa servibilità di questo Governo, che potrà essere tutto e il suo contrario, come i suoi azionisti di riferimento, che sono passati nel giro di poche ore dalla richiesta di galera per Mattarella, colpevole di avere bocciato Savona all’Economia, alle maratone quirinalizie per trovare un posto di riguardo per il bizzoso professore ottantenne e licenziare finalmente, senza costi eccessivi per nessuno, il nuovo esecutivo.
Ci si sbaglierebbe a pensare che mentre il populismo grillo-leghista rappresenta un fenomeno collettivo, un’espressione della cultura politica profonda del Paese, il “moaverismo” sia solo un’inclinazione individuale, una forma di opportunismo e di agnosticismo cinico, che diventa disponibilità al servizio di qualunque potere, proprio e solo in quanto potere. Il “moaverismo”, è invece qualcosa di altrettanto profondo e rappresentativo dell’anima nazionale e dell’etica pubblica (non privata) delle sue élite e dei suoi chierici traditori.
Insomma, l’Italia politica oggi ha la faccia di Enzo Moavero Milanesi, più di quella di Di Maio e Salvini. Che non è una bella faccia, ma è la faccia autentica, perché più profondamente trasformistica e “eterna” della Nazione.