salvini dimaio

Benvenuti nel peggiore degli scenari possibili, il cigno nero è arrivato, il governo grillo-leghista si va formando. Ma se la prospettiva con cui sta per nascere il prossimo governo è pessima e preoccupante per chi crede nella società aperta e nella democrazia liberale, perché abbiamo tirato tutti un sospiro di sollievo?

Un ritorno al voto a luglio o a settembre, con un’alta probabilità di ritrovarci di nuovo in stallo, preoccupa e preoccupava tutti, persino quelli che potevano pensare di averne un beneficio elettorale (come gli stessi Lega e M5S). Rebus sic stantibus, la nascita di un governo con una maggioranza leghista e pentastellata potrebbe invece avere un effetto di chiarificazione e pulizia del dibattito politico nazionale e delle aspettative degli elettori. Lega e M5S hanno la maggioranza dei voti degli italiani, hanno una piattaforma programmatica quasi identica e un registro retorico omogeneo. Ciò che li unisce – come si usa dire – è più di quanto li divide. La contrapposizione tra flat tax e reddito di cittadinanza, o i diversi accenti posti sul tema immigrazione, sono differenze accettabili tra partner di governo che in fondo condividono il fondamento di ogni proposta: il sovranismo, variamente declinato.

Nel PD continuerà a lungo il confronto tra chi ha fermato l’ipotesi di una maggioranza tra democratici e grillini e chi crede che quella collaborazione avrebbe ridotto il potenziale di populismo e “sovversione” di Di Maio e colleghi. Ma questa dialettica ha ragioni più pre-congressuali che altro, è uno strumento di posizionamento interno ormai inutili ai fini concreti. Per il M5S un governo con il PD sarebbe stata la seconda scelta, essendo l’accordo con la Lega la via maestra da sempre auspicata dal capo politico dei Cinque Stelle.

C’era in fondo coerenza ideologica nella proposta di Di Maio a Salvini, ce ne sarebbe stata decisamente meno con il PD. E in fondo, tra un governo nato per il benestare di Berlusconi e uno nato per il benestare di Renzi, la dirigenza grillina non ha mai avuto dubbi: meglio Berlusconi che il premier del governo contro il quale negli ultimi anni si è più nettamente andata forgiando l’anima profonda del sovranismo italico. Berlusconi è un mafioso, è un corrotto e un corruttore, è un delinquente… ma Renzi è peggio. Non si lamenti troppo Marco Travaglio, neo-esodato del mondo grillino in cerca di una salvaguardia.

Governerà dunque chi ha la maggioranza dei voti degli italiani e dei seggi parlamentari, e dopo 7 anni dei governi Monti-Letta-Renzi-Gentiloni è tempo che venga smantellata la dicotomia (inventata e poi resa vera da una stampa un po’ pigra e un po’ connivente) tra “palazzo” e “piazza”. Come usa dire Carmelo Palma, ormai i partiti sovranisti avevano introiettato una specie di separazione tra governo e democrazia, assumendo che la seconda prescindesse dal primo. Ma non è così: chi ha più voti, ha la responsabilità di governare. E il governo non è il potere, anzi: chi governa, nella società contemporanea, è per definizione in una posizione di debolezza. Ed è ora giusto che chi per anni ha fatto la voce grossa, coperto dietro la sua aurea irresponsabilità, oggi si confronti con il governo reale delle cose, dei problemi e delle opportunità, liberando il fronte di chi ha governato o sostenuto governi dal 2011 in poi dal suo ruolo finora obbligato di "adulto di casa".

Ora l’Italia è a un bivio: o la realtà addomestica le pretese eversive dei nuovi governanti, o queste determineranno una frattura profonda. Semplificando, o restiamo nell’euro tenendo i conti in ordine o usciamo dall’euro e dunque dalla UE. O ci teniamo la legge Fornero con o senza maquillage, o la smantelliamo e carichiamo sui lavoratori e le prossime generazioni il rischio della bancarotta previdenziale. Tertium non datur. Benvenuti nella stagione del “governo del popolo” (che, però, sta scoprendo nuovamente che il premier non sarà eletto dal popolo). In bocca al lupo a quanti vorranno lavorare, fin da subito, all’opposizione “per il popolo”.