iwobi Sulla vicenda di Toni Iwobi primo senatore nero e leghista si stanno leggendo esagerazioni da una parte e dall’altra. Sono sgradevoli (quando non meramente goliardici) i paragoni col personaggio di Samuel L. Jackson in Django o addirittura gli epiteti di “negro da salotto” che riportava giustamente schifato qualche amico sui social network. Però non ridurrei nemmeno la questione a un: “perché un nero non può essere di destra?”.

C’è da dire che da tempo i “coloured” nei partiti sovranisti vanno molto. Oltre a Iwobi, penso a Paolo Diop nel “Movimento Nazionale”, o Kawtar Barghout utilizzata in vario modo da fascisti di ogni tipo senza che apparentemente la cosa le dispiaccia. Diciamo che è una carriera politica (o simili) facile perché giocano un ruolo molto utile a movimenti di questo tipo. Qua il punto non è che un nero “non possa essere di destra” ma l’uso palesemente strumentale che i partiti etnoconservatori (non semplicemente di destra) fanno di quelle persone proprio perché nere. Per tornare all’esempio più eclatante, Toni Iwobi non spunta certo oggi: non dimentico la ridicolaggine di metterlo esattamente dietro Salvini nella manifestazione “stop invasione” perché venisse inquadrato dalle telecamere. Una sorta di “blackwashing” fatto dagli imprenditori politici della xenofobia (perché questo fa obiettivamente Salvini da anni) per dire: visto? Noi non siamo razzisti. E usare i neri come foglie di fico facendogli appunto fare carriere perché servono neri da mandare sotto i riflettori è, questo sicuro, un po’ razzista.

Dopo di che la vicenda si complica: a destra come a sinistra e certo non solo con le persone di colore. Quando Cecile Kyenge fu nominata ministro nel governo Letta molti, soprattutto da destra ma non solo, obiettarono più o meno le stesse cose: in sostanza si disse che era un’operazione di facciata che l’aveva portata in quel ruolo principalmente perché nera. E considerando l’azione e la qualità dell’operato della stessa ministra mi viene in onestà difficile dubitare che in quelle critiche ci fosse del vero. Senza dimenticare però che Iwobi si trova in Senato come compagno di partito di Calderoli che diede alla Kyenge dell’orango.

In Italia abbiamo quindi di sicuro un problema con le perone di colore in politica, perché ogni volta suscitano reazioni anormali. Come scrisse qualcuno proprio ai tempi della Kyenge: la questione etnica verrà superata non quando avremo dieci ministri neri ma quando il fatto che siano neri o meno verrà accolto con assoluta indifferenza. Dopo di che anche certa sinistra dovrà farsi una ragione del fatto che esistono fior di immigrati conservatori e reazionari, come ne esistono di gay, senza trattarli eternamente come paradossi (o addirittura traditori). Ricordo un articolo della stampa estera specificamente dedicato ai tanti gay che votavano Le Pen, con toni decisamente sorpresi.

Tornando a Toni Iwobi, non serve scomodare particolare malizia per ritenere che sia arrivato fin lì in particolare grazie al colore della pelle, come già è successo in passato. Con le stesse dinamiche per cui serviva venisse inquadrato dietro a Salvini durante manifestazioni xenofobe. Va segnalato però che è un militante della Lega di vecchia data e che, come dicevamo prima, se parliamo di “qualità determinanti” per carriere politiche le cose in Italia si complicano non poco. È pieno infatti di parenti di vittime o eroi che quasi solo su quello hanno impostato carriere, e quindi diventavano “parenti di professione”. È pieno di gay di professione in molti ambienti prestigiosi. Io che pure sono filo-israeliano criticai Fiamma Nirenstein che venne nominata fondamentalmente per occuparsi degli interessi di un Paese (Israele) che non era quello del parlamento in cui era stata eletta. E la lista sarebbe lunga.

Si potrebbe concludere maliziosamente che anche da questo punto di vista il simpatico (per davvero) Toni Iwobi si sia integrato perfettamente. Ma allora evitiamo di prendercela solo con lui giusto perché il nero, sul verde, si nota di più.