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La grande rivolta contro la legge Fiano, che non è oppressiva, ma pleonastica e curiosamente retrospettiva - come se un pericolo fascista venisse oggi da vecchi nostalgici, cretini digitali e collezionisti di gagliardetti del Ventennio – è culminata  nel fine settimana nel comizio a Pontida di Salvini, che rappresenta un fascismo 2.0 estraneo alle iconografie del fascismo storico, ma radicato nello stesso subconscio collettivo nazionale, cui Mussolini offrì un sogno di potenza addirittura imperiale, ricevendone in cambio una devozione accesa e gregaria, orgogliosa e pecorona, destinata a trascinarsi ben oltre il momento delle leggi razziali e a infrangersi solo davanti ai disastri della guerra.

Salvini è un fascista in un senso più volgare e meno ambizioso. Non si propone come fondatore di un’Italia restituita alla sua missione storica, ma come “sfondatore” del quadro di relazioni nazionali e internazionali in cui l’Italia ha vissuto dal Dopoguerra fino ad oggi; un nazionalista “a marcia indietro”, disposto a offrire ai risentimenti di un Paese sbandato una sponda più psicologica, che ideologica e a opporre una claustrofilia difensiva all’agorafobia da globalizzazione economica e demografica, che ha sconvolto le coordinate materiali e mentali dell’Italia “ex moderata”.

Quando ieri a Pontida ha assicurato che da premier avrebbe lasciato "mano libera alla polizia" ha detto ciò che molti italiani vogliono sentire e soprattutto vogliono essere autorizzati a pensare. Che lo stato di diritto, il rule of law e le garanzie personali e processuali riconosciute ai “nemici” – gli stranieri, i miserabili, e gli stranieri miserabili innanzitutto – sono un oltraggio al popolo e al suo bisogno di sicurezza. L’Italia che Salvini vuole rappresentare rimane quella del cappio esposto dai leghisti alla Camera all’alba di Tangentopoli, con un sovrappiù di sprezzo gentilizio, perché tra i privilegiati per cui Salvini rivendica un’immunità speciale c’è proprio la Lega ladrona, pizzicata a gestire i finanziamenti pubblici come argent de poche della dinastia regnante.

Tutto ciò che puzza di rule of law disgusta Salvini, perché disgusta gli italiani di cui intende propiziarsi il favore. Se la Lega “liberista” delle origini prometteva di sbrogliare l’Italia economica dai lacci e lacciuoli di una regolamentazione e di una fiscalità vessatorie, oggi la Lega “libertaria” promette di esentare l’Italia civile dalle regole della cultura “politicamente corretta” e dall’interdizione dell’odio, del disprezzo e della violenza come oggetto del discorso politico. Salvini rivendica il diritto dell’odio come sentimento catartico, che restituisce i cittadini e il popolo alla pienezza di un sé esclusivo e alla coscienza della propria identità.

Salvini è andato oltre Bossi e la Lega ha sfondato barriere elettorali che sarebbe stato impensabile superare con un discorso meramente nordista, non perché abbia concepito un programma nazionale, ma perché ha scelto di aderire a una particolare antropologia politica nazionale e di sposarne le istanze “liberatorie”. La Lega di Salvini non vuole la secessione dal Sud, ma la secessione dalla politica come responsabilità di governo e quindi dall’Europa, che di quella responsabilità rappresenta l’invadente garante. La sovranità che promette di restituire agli italiani non è quella rispetto al proprio destino, ma ai propri sentimenti. Non il diritto di decidere, ma quello di odiare.

Il povero Berlusconi mummificato nel ruolo del moderato di complemento proverà a risalire la china dei sondaggi e a contendere a Salvini il ruolo di capitano della coalizione di centro-destra, ma non può contendere a Salvini e alla sua gemella diversa Meloni l’egemonia culturale di un centro-destra che offre un programma sinistramente nero all’Italia che vede nero.

@carmelopalma