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Molti sono rimasti sorpresi dalle polemiche seguite al Festival della Canzone Italiana. Alcuni hanno messo in evidenza come un Ministro della Repubblica non dovrebbe occuparsi di canzonette, altri hanno sottolineato l’effettiva italianità del vincitore, altri ancora hanno rivendicato come nella storia del Festival abbiano partecipato tanti stranieri. La lezione del Festival è un’altra.

Quando ero ragazzo, noi giovani del tempo, non solo quelli impegnati politicamente, direi un po’ tutti, guardavamo al Festival con snobismo, talora con disprezzo. De André e De Gregori di certo non partecipano! - si diceva - è roba da borghesi. Con accenti più o meno forti, la sostanza del giudizio era questa. Perché? Perché il paradigma politico del tempo si fondava, piaccia o no, sul conflitto di classe e quel paradigma consentiva di leggere ogni evento, Festival compreso.

E oggi? Oggi quel paradigma ci appare come uno sbiadito ricordo: solo un reduce del passato potrebbe definire “borghese” il festival di Sanremo. No, oggi il paradigma non è più quello e la nuova epoca ha spazzato via ogni passata certezza. E allora? Qual è lo sguardo con cui possiamo leggere la realtà, la società nel suo complesso e gli eventi che la raccontano? La narrazione populista fornisce una chiarissima risposta. Essa sostituisce il conflitto di classe con un nuovo conflitto, quello tra “popolo” e “élite”. Questo è il nuovo “paio di occhiali” con cui si può leggere e interpretare ogni evento che racconta la nostra società contemporanea.

Così l’Unione Europea diventa una conventicola di burocrati che rappresentano gli interessi delle élite contro gli interessi dei popoli; gli stessi processi migratori diventano un piano governato da Soros, eminenza grigia delle élite internazionali, ai danni dei popoli; i vaccini diventano una menzogna per arricchire le élite farmaceutiche ai danni del popolo; la stessa realizzazione delle infrastrutture, come anche l’organizzazione di eventi come l’Expo o le Olimpiadi, diventano un’occasione di “magna magna” delle élite a danno del popolo; le persone di successo vanno guardate con sospetto giacché inevitabilmente colluse con le élite; dulcis in fundo, la giuria di esperti di Sanremo, rappresentante delle élite musicali più radical-chic, ha rovesciato il volere del popolo. Si, la narrazione populista è così efficace che consente, come fu per le ideologie del ‘900, di leggere qualunque evento, qualunque scenario, Festival compreso, appunto.

Chi ritiene che la narrazione populista sia pericolosa e fuorviante, non ha alcuna speranza di ridurne gli effetti ricorrendo ai vecchi arnesi del vecchio paradigma. Men che meno può portare lontano l’elenco dei no, del sarcasmo, dello snobismo. Appare assai debole anche il pur comprensibile richiamo al buon senso, in quanto, nella percezione comune, finisce per fornire come unica alternativa possibile, la conservazione dello status quo. Di certo, per proporre una visione alternativa di società, non serve denigrare la narrazione altrui, è invece necessario proporne una propria, migliore. Occorre in sostanza mettersi al lavoro per regalare al mondo un diverso “paio di occhiali” che consenta una lettura diversa della realtà, della società nel suo complesso, di ogni evento che la racconti.

Lo so, non si realizza tutto ciò riunendo dieci professori in una stanza. Il processo ideativo sarà caratterizzato da passaggi sorprendenti e inattesi ed anche apparentemente casuali. Ma affermarne la necessità è già il primo indispensabile passo. L’unica cosa certa è che per immaginare una narrazione alternativa a quella populista, occorre fare ricorso a tutta l’apertura mentale di cui si dispone e alla più sfacciata autonomia di giudizio; occorre mettere al centro l’individuo e il suo senso di responsabilità individuale come fattore di emancipazione personale e sociale. Ci vuole creatività e coraggio. Mettiamoci al lavoro.