contesenato

Quando nel 2008 il PDL uscì vittorioso dalla competizione elettorale e Berlusconi formò il suo governo, io, pur non avendolo votato, affermai convintamente "Berlusconi è il mio presidente". Per me la democrazia funziona così: durante la campagna elettorale si sostiene il proprio candidato; a elezioni terminate, si sostiene il candidato vincitore. Credo che prima dell'esito elettorale sia legittimo sostenere una parte, dopo sia doveroso sostenere il Paese e chi lo governa. Funziona così nelle associazioni, nei circoli, nelle cooperative; non si capisce perché questo principio non dovrebbe valere anche per il governo del Paese.

Di fronte a questa mia affermazione - Berlusconi è il mio Presidente - molti miei amici restarono a dir poco interdetti. Alcuni, credo, mi disprezzarono. Pochi mesi dopo, Obama vinse le elezioni presidenziali americane e il suo competitore politico, John McCain, a seguito dell'esito elettorale, convocò in piazza il suo popolo e senza esitare affermò: Obama è il mio presidente. Gli stessi amici che si scandalizzarono alla mia affermazione su Berlusconi, commentarono entusiasti le parole di McCain.

La contraddizione è assolutamente evidente, eppure non se ne resero neppure conto. Costoro, quando messi di fronte a questo genere di contraddizioni, hanno la risposta pronta: si, ma è diverso. Diverso un corno.

Per questa ragione, pur sentendomi distantissimo dalla cultura politica pentaleghista, affermo che Conte è il mio Presidente, e lo dico davvero, non come provocazione intellettuale. Lo dico tanto più proprio per differenziarmi da una cultura che, invece, si caratterizza per il contrario: il dileggio continuo dell’autorità quando non rappresentata da se stessi.

La differenza di atteggiamento tra chi sa dire “anche il governo del mio avversario è il mio governo” e chi, al contrario, si dedica al continuo dileggio del nemico, non segna solo un discrimine tra chi omaggia pienamente la dialettica democratica e chi la interpreta a proprio uso e consumo, rappresenta anche l’elemento discriminante del nuovo bipolarismo. Esso si fonda su due diverse culture politiche che derivano da due differenti atteggiamenti esistenziali: l’uno fondato sull’accettazione della complessità della realtà, l’altro sulla rivendicazione del mondo perfetto; il primo è dunque orientato a ricercare soluzioni, il secondo a indicare nemici. Il primo si fa portatore della “cultura del per”, il secondo della “cultura del contro”.

Alcuni, tra cui il segretario cosiddetto "reggente" del PD, semplificano e sostengono che lo schema destra/sinistra continui ad aiutarci a leggere la realtà, sottintendendo che in fondo la “cultura del per” sia riscontrabile nel DNA della sinistra. Non è vero. Il populismo affonda le sue radici nella cultura della sinistra, lo stesso Peronismo, considerato la primogenitura del populismo, nasce da un movimento socialista. Ma davvero pensiamo che l’avversione tutta populista e ribellista al mondo delle banche e della finanza sia una novità grillina e non affondi invece le sue radici nella cultura della sinistra? Ma davvero pensiamo che convocare in piazza tre milioni di persone organizzate da sindacati e partiti della sinistra contro l’abolizione dell’articolo 18, alludo alla manifestazione di Cofferati del 2002, non sia schietto populismo? Davvero pensiamo che quando Concita De Gregorio afferma che “bisogna parlare meno di spread e più di persone” non stia facendo populismo del più becero? Su Emiliano e De Magistris preferisco calare un velo pietoso. Eppure c’è chi insiste.

Costoro non si rendono conto di quanto la cultura di sinistra, grazie alla retorica della”rivoluzione” e del “ribelle” come figura cardine dell’emancipazione sociale, abbia concorso a determinare l’odierno ribellismo fascistoide. Nelle sue radici ideologiche e culturali è ben presente infatti la cultura del nemico, il dileggio del potere in quanto tale e la demonizzazione dell’avversario politico; tale atteggiamento deriva in buona parte dalla teoria del nemico di classe. Basti pensare all’atteggiamento della sinistra durante le stagioni berlusconiane: pur di gettare discredito sul “nemico”, ha fatto ricorso a un disgustoso bacchettonismo catto-comunista miscelato con una buona dose di giustizialismo. Roba molto triste. E molto colpevole.

Il rifiuto di guardare questa cruda realtà deriva in buona parte da un vizio congenito della sinistra: essa, da tempo orfana di un’ideologia, sposta la questione sul piano morale, per cui i “buoni” sono inevitabilmente e antropologicamente “di sinistra”. Così diventa tutto facile. Così è di nuovo possibile distinguere. Così diventano "di sinistra" tutti i buoni della Storia, indipendentemente dal periodo in cui sono vissuti e indipendentemente dal fatto che al loro tempo destra e sinistra fossero categorie già esistenti: considerandole categorie morali, diventano universali nello spazio e nel tempo. Così diventano "di sinistra" Gandhi, Martin Luther King, Papa Giovanni, forse Teresa di Calcutta, Nelson Mandela, San Francesco, Giovanna D'Arco, Martin Lutero, forse i carabinieri Salvo D'Acquisto e Carlo Alberto dalla Chiesa, probabilmente Ciro Menotti e lo stesso Balilla, forse anche Falcone e Borsellino (si, è vero, si diceva di destra, ma in realtà, secondo questa visione antropologica, era di sinistra e non lo sapeva), certamente Gesù.

Così, una donna di sinistra in politica è necessariamente una donna emancipata mentre una donna collocata nell'area della destra, probabilmente è lì perché “l'ha data a qualcuno”. È emblematico ricordare le parole con cui Sabina Guzzanti, esponente della sinistra ribellista, liquidò l'impegno politico di Mara Carfagna, ottimo Ministro del Governo Berlusconi. Rivolgendosi idealmente a Berlusconi esclamò: "tu non puoi mettere alle Pari Opportunità una che sta là perché ti ha succhiato l’uccello! Se ne deve andare!" Quelle parole furono pronunciate nel 2008 a Roma, dal palco di Piazza Navona, in occasione della manifestazione No Cav Day. Le persone presenti, coerentemente con la “cultura del contro” suggerita dal nome stesso della manifestazione, applaudivano entusiaste. I pregiudizi e i dileggi espressi in tempi recentissimi nei confronti del Ministro Boschi e delle altre figure femminili che hanno fatto parte del Governo Renzi, sono caratterizzati dalla stessa bassezza e, ancora una volta, uniscono nella casa del fascismo 2.0 persone che si dicono di destra e persone che si dicono di sinistra. In tale dileggio si é distinto un altro esponente della sinistra ribellista, Maurizio Crozza. Aveva ragione Ennio Flaiano quando diceva che in Italia esistono due tipi di fascisti: i fascisti e gli antifascisti. Paradossale, ma tragicamente vero.

E oggi? Qualcuno sostiene che governi “la destra” e che “la sinistra” dovrebbe impegnarsi in una durissima opposizione; Peccato che, come detto, destra e sinistra c’entrino nulla. Il nuovo schema contrappone invece visione ottimistica del futuro a catastrofismo, orientamento all’integrazione a esclusione della diversità, ricerca delle soluzioni a indicazione dei colpevoli, responsabilità ad alibi. Non è ancora codificato il nome da attribuire a questi contrapposti atteggiamenti politici, l’unica cosa certa è che si tratta di atteggiamenti trasversali rispetto alle culture politiche novecentesche.

In realtà, grazie alla maggioranza pentaleghista che non rappresenta in sé il centrodestra e che anzi vede Forza Italia in posizione assai critica, il quadro si é semplificato ed é divenuto più coerente e conforme rispetto alla realtà dei fatti: c’è finalmente chiarezza sui nuovi campi in cui realmente possono confrontarsi le forze politiche. Il polo ribellista-complottista c’è ed è al governo, l’altro polo, semplicemente, ancora non c’è. Ma io, di fronte al governo pentaleghista, voglio testimoniare l’atteggiamento politico che dovrà caratterizzare il “polo del per”, quello che ancora non c’è, quindi scelgo l’atteggiamento del per e non dell’anti, del tifare a favore e non del tifare contro e dico che Conte è il mio Presidente. Non faccio opposizione, men che meno auspico il tanto peggio tanto meglio, faccio il tifo. Meglio essere ottimisti e avere torto che essere pessimisti e avere ragione.

Qualcuno si illude che il nuovo polo possa essere rappresentato da un fronte di opposizione che raccolga le forze di centrosinistra, che magari comprenda Liberi e Uguali, oggettivi fiancheggiatori dei libellisti-complottisti, più qualche sparuta formazione di centro. Si tratta di una visione gravemente miope. l’Italia non ha bisogno dell’ennesimo “cartello contro” come furono l’Ulivo e l’Unione, ha bisogno di un “Movimento per” che sappia parlare il linguaggio della nuova epoca, veicoli un impianto ideale alternativo a quello pentaleghista, attragga tanto chi, nel vecchio schema, si é sentito più rappresentato dalla sinistra quanto chi, nel vecchio schema, si é sentito più rappresentato dalla destra; un movimento oltre le sigle, i partiti e i partitini della vecchia epoca, che sappia proporre una leadership caratterizzata da volti nuovi. Bisogna mettersi al lavoro per questo e mettere mano alla definizione della cultura politica che dovrà caratterizzare l’alternativa al pentaleghismo. Il Governo potrebbe durare anche a lungo, il tempo probabilmente c’è.