Sfera Ebbasta

Non c’è più religione, i ragazzi escono soli la sera, ai miei tempi la musica era diversa, i giovani d’oggi non conoscono la melodia, vuoi mettere gli artisti di un tempo, quelli veri? Non c’è più rispetto per niente e per nessuno, dove andremo a finire?

Queste frasi risuonavano a cavallo tra gli anni sessanta e gli anni settanta, di fronte all’affermarsi dei fenomeni beat e hippy e di fronte a certe proposte della musica pop e rock. Visti oggi, quei vecchi ci appaiono come torvi bacchettoni, impauriti da ogni forma di innovazione. Essi rappresentavano la conservazione, la reazione a quella forza delle cose che proponeva un’emancipazione talora poco comprensibile, ma potente e inevitabile. Chi si apriva alla comprensione, oltre i pregiudizi e le facili etichette, rappresentava invece la ricerca dell’innovazione e della crescita.

Ma oggi i bacchettoni chi sono? Dove si annidano? La tragica vicenda della discoteca di Corinaldo li ha stanati. Così abbiamo sentito risuonare, invecchiati di una quarantina d’anni, quei vuoti luoghi comuni, carichi di ottusità e paura: dov’erano i genitori? Ma avete letto i testi di queste orribili canzoni?

Chi sono questi nuovi bacchettoni? Parrà ben strano, ma molti di costoro sono gli stessi che, al tempo ragazzi, negli anni ’60 e ’70 mitizzavano i concerti di Woodstock e dell’Isola di Whigt, perlopiù frequentati da giovani trasandati (all’epoca si chiamavano “capelloni”) e da ragazze con le tette al vento. Ma no dai, non è possibile che siano le stesse persone! Si, è possibile: costoro, un tempo ribelli, trovano oggi nel bacchettonismo le risposte alla loro ricerca di identità.

Nel 1920, Lenin, indispettito da chi lo criticava “da sinistra”, scrisse un saggio dal titolo emblematico: l'estremismo, malattia infantile del comunismo. Oggi, a distanza di un secolo, il saggio va riscritto giacché, dopo cento anni, non si può più parlare di malattie infantili, ma semmai senili: Il bacchettonismo, malattia senile della sinistra.

A partire dagli anni ottanta, la sinistra erede del PCI, orfana di un impianto ideale, ha pescato qua e là per ritrovare un punto di riferimento ideologico. Non fu difficile individuare nei magistrati, quelli di Mani Pulite, i più fedeli interpreti di quella “questione morale” che Berlinguer oppose al progetto politico craxiano. Si, i magistrati potevano rappresentare il nuovo riferimento ideale. Così nacque il bacchettonismo giustizialista che ha accompagnato la gran parte della sinistra a cavallo tra gli anni ottanta e novanta.

Fatto fuori Craxi, si presentò un altro innovatore, un altro protagonista pronto a sparigliare il quadro: Silvio Berlusconi. L’allora segretario del PCI nel frattempo rinominato PDS, Achille Occhetto, non aveva granché da contrapporre all’intento innovatore di Berlusconi. Si limitò all’apologia di quella che lui definì “gioiosa macchina da guerra” che in realtà talora si rivelò essere odiosa macchina del fango. Ma quella “macchina” non bastò, così nel ’94 Forza Italia stravinse le elezioni. La magistratura, un po’ per caso, un po’ per dovere, un po’ per puntiglio, tornò più o meno volontariamente in soccorso e sottopose Berlusconi a un permanente stato di indagine. Così la magistratura si confermò nuovo orizzonte della sinistra, nuovo sol dell’avvenire. I politici potevano delegare ai giudici il compito di sconfiggere i propri avversari, abiurando così al proprio ruolo: non era più necessario produrre pensiero, bastava sostenere l’azione dei magistrati. Così si iniziò a festeggiare a ogni avviso di garanzia e a tifare perché l’accusa si trasformasse in condanna.

La vicenda Ruby segnò la sublimazione di questo atteggiamento giudicante, tanto che il moralismo prese il sopravvento sul giustizialismo. Il testimone del giustizialismo passò così ai grillini, eredi dell’estremismo a cui alludeva Lenin nel suo saggio, interpreti di un giustizialismo più estremo e violento.

La sinistra, orfana anche del surrogato ideologico giustizialista, anche grazie alla nascita del PD che integrava il moralismo comunista con quello cattolico, conservò e potenziò la sua ispirazione bacchettona, proponendo con la vicenda Ruby un moralismo da quattro soldi, gossipparo, condito da buona dose di perversa pruderie e da invidia quanto basta. Quel morbo moralista si è diffuso e incancrenito nella sinistra, così, di moralismo in moralismo, si è arrivati ai giorni nostri, giorni in cui l’innovazione (si fa per dire) si fonda su quello che sembra rappresentare il nuovo moralismo della sinistra, il bacchettonismo scientista. I giudici ormai sono appannaggio dei Cinquestelle, meglio delegare ad altri nuovi soggetti il ruolo di censori dei propri avversari. Chi meglio dei tecnici, dei competenti, degli scienziati? Così nel PD si possono lanciare gli strali più feroci nei confronti di chiunque, propri compagni di partito compresi, ma non si possono toccare gli idoli del nuovo bacchettonismo. Ne sa qualcosa Dario Corallo, giovane membro dell’Assemblea Nazionale del PD, lapidato dai suoi compagni di partito per non essersi inchinato al culto della personalità nei confronti di Burioni: il bacchettonismo scientista non perdona.

Gli afflitti da questa malattia senile della sinistra, il moralismo bacchettone appunto, non sono solo vecchi reduci, orfani delle ideologie novecentesche: tra gli afflitti ci sono anche giovani che hanno scelto di aderire a questa tragica deriva. Costoro hanno l’opportunità di provare a comprendere il messaggio che, anche inconsapevolmente, ci regalano i trapper. Essi, col loro linguaggio ironico e crudo, ci ricordano come una donna compiuta raccolga in sé una molteplicità di stati esistenziali e sappia esprimere tanto l’archetipo della Madonna, quanto quello della Maddalena. Allo stesso modo ci ricordano come ogni uomo che abbia un po’ vissuto, integri in sé l’ispirazione celeste di Dante con la passione godereccia di Boccaccio. La bellezza delle persone è proprio in quella contraddittorietà e multiformità che i bacchettoni, prigionieri delle loro etichette, non riescono ad apprezzare. Cogliere questa contraddittorietà ci aiuta ad aprirci al nuovo ed anche a metterci in esplorazione della bellezza contenuta nella contraddittorietà di questa nuova epoca.

Chiunque desideri elaborare un pensiero nuovo, alternativo alle semplificazioni pentaleghiste, si tenga ben lontano da queste derive senili della sinistra e dall’idea che l’alternativa possa nascere dalla sua ennesima “rifondazione”. Si tenga ben lontano dalla tentazione delle facili etichette totalizzanti che talora trasformano le stesse battaglie per i diritti civili in bacchettone crociate laiche. Si tenga ben lontano da quello snobismo, anch’esso bacchettone, che demonizza i videogiochi e magari prende le distanze dal e-book perché non ha il profumo della carta. Si tenga ben lontano dal trattare il tema dell’immigrazione brandendo la parola “umanità” con la stessa bacchettona supponenza con cui i grillini brandiscono la parola “onestà”. Produrre un nuovo pensiero. Oltre tutte le vecchie etichette. Questa è la missione degli innovatori del nostro tempo.