L'Italia che non ha paura
Istituzioni ed economia
Il nome che il PD ha scelto per la sua manifestazione del prossimo trenta settembre, "per l’Italia che non ha paura", ha suscitato le reprimende di Carlo Calenda. Secondo l’ex ministro, infatti, le paure degli italiani andrebbero comprese e la manifestazione dovrebbe accogliere proprio chi ha paura e fornirgli delle risposte. Certo, il ragionamento sembra filare, ma a me quel nome, invece, piace molto. Riprende, credo volontariamente, un verso di una delle più belle canzoni di Francesco De Gregori, Viva l’Italia: "l'Italia con gli occhi asciutti nella notte scura, viva l'Italia, l'Italia che non ha paura". Si, niente male.
Dal mio punto di vista, è necessario richiamare alla possibilità di non avere paura, al coraggio di esplorare il bello contenuto nel nuovo tempo e di dargli spazio. La volontà di comprendere le paure rivela invece l’intento di rispondere all’imperante becero populismo con un “populismo dal volto umano” che rappresenterebbe una risposta debolissima oltre che miope.
La cultura della paura si fonda sul rifiuto delle sfide della nuova epoca e sulla convinzione che i processi di globalizzazione e digitalizzazione contengano più minacce che opportunità. Da qui l’ostracismo pentaleghista a tutti i processi di integrazione, sia politica che sociale, e il richiamo a protezionismi di ogni genere, sia commerciali che assistenziali. L’alternativa non si costruisce comprendendo la paura e fornendo risposte più “ragionevoli” di quanto non siano quelle pentaleghiste, l’alternativa si costruisce dando luce alla bellezza contenuta nella nuova epoca e nelle sue sfide.
Ma purtroppo, a dispetto di ciò che evoca il nome della manifestazione del trenta, il PD sembra invece aggrovigliato sul confronto tra chi pensa di proporre un populismo dal volto umano insieme ai grillini (una volta liberati dall’abbraccio mortale della Lega) e chi pensa a un’iniziativa autonoma, ma comunque di stampo populistoide. Si tratta dunque di un confronto tra diverse opzioni tattiche e non tra diverse visioni strategiche.
La costruzione di un’alternativa alla cultura politica pentaleghista, presuppone la piena comprensione del superamento dello schema destra/sinistra con conseguente affermazione del nuovo bipolarismo e l’inequivocabile smarcamento da qualunque tentazione pseudo-populista. Tutte le diverse componenti del PD sono invece tuttora prigioniere del vecchio paradigma politico e di fatto eredi della retorica del popolo (necessariamente buono) e del “ribelle” che lo rappresenta contro il “potere” (necessariamente cattivo), cioè eredi del populismo originario.
Anche per queste ragioni, il dibattito interno alla sinistra appare oggi, giustamente, stucchevolissimo, inutile e malinconicamente autoreferenziale. Occorre altro. Occorre mettere mano alla definizione delle tante ragioni per le quali volere bene a questa nostra nuova epoca e intorno a queste ragioni costruire una nuova cultura politica. Chi potrà rendersene credibilmente protagonista? Non certo il PD e non certo un fronte di sinistra.
Semmai un soggetto che sappia centrarsi sulle nuove consapevolezze degli under 30, che veda i millennial come protagonisti e sappia sintonizzarsi sui desideri e sulle aspirazioni degli individui più che sui bisogni di questo o quel blocco sociale.