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Il successo e l’imprescindibilità di Sanremo trova ogni anno una nuova conferma. Che piaccia o non piaccia, che faccia ascolti dirompenti o deludenti, Sanremo funziona sempre, perché Sanremo non è un prodotto televisivo e musicale, ma è la vetrina dell’immarcescibile “Italia catodica” e del suo immaginario politico-sentimentale. Sanremo è la passerella ufficiale dei buonisti e cattivisti da copertina, di perbenisti senza vergogna nel deliquio morale e nel vaniloquio edificante, di messaggeri e messaggi popolari, perché radicati nello spazio senza tempo dell’anima nazionale e non nei flussi dei trend topic.

Non vedere Sanremo è come non vedere Vespa, non vedere i programmi della tv del dolore, non vedere Don Matteo, non vedere i tg che parlano alla ggente… Una strategia soggettiva di legittima difesa e dissociazione da quel che non si sopporta e che magari, in quota parte, pure si è. Un espressione di disgusto individuale per il gusto collettivo. Ma in primo luogo un esercizio di rimozione, che non aiuta a elaborare il trauma della realtà e dell’immagine riflessa nello specchio collettivo della tv. Sanremo dovrebbero vederlo tutti, e in primo luogo quelli che non lo farebbero mai o pensano di non doverlo fare, per non darla vinta agli “altri”, che sono comunque un pezzo di “noi”.

Il successo di Sanremo è eterno come il successo della politica italiana di successo, cioè intrinsecamente sanremese, ossessivamente retrospettiva e nostalgica, conformisticamente tradizionale. La sociologia della comunicazione tv e gli stessi palinsesti della televisione generalista dimostrano che non c’è nulla di meglio che “ritrasmettere”, disseppellire una memoria ancestrale e riprogrammarla come immagine di quello che, malgrado tutti gli apparenti cambiamenti, siamo rimasti. 

Il presente televisivo è imbullonato a passato reale (quello delle teche Rai) o inventato, costellato di preti, suore, carabinieri, medici, mamme, nonni e degli altri variegati eroi del bene degli italiani brava gente (quello della fiction e della tv verità). Sanremo è la somma di questi passati, esattamente come il populismo politico vincente, fatto di “ricette” da cucina politica anni ’70 e ’80 – deficit, pensioni, spesa pubblica lenitiva…– e anche anni ’30 e '40 – prima gli italiani, padroni a casa nostra, spezzeremo le reni all’Europa – e di un pantheon di Padri Pii e di figurine sacre, laiche e religiose.

Sanremo è il paradigma della politica di successo perché contiene tutti gli ingredienti di questo successo e per indagarlo davvero occorrerebbe inaugurare un nuovo settore scientifico-disciplinare e una nuova materia di studio e insegnamento universitario: l’archeologia contemporanea.

@carmelopalma