Post truth politics. Una strategia razionale contro l'irrazionalità
Istituzioni ed economia
Come il calabrone che non potrebbe volare, ma vola, così vola nel cielo dei sondaggi anche il governo giallo-verde, che una furia autolesionistica di errori, contraddizioni e approssimazioni dovrebbe schiantare al suolo. E invece no. Come la fisica ingenua – il calabrone vola perché può volare – anche la politologia ingenuamente luogo-comunista mostra nella meraviglia l’inconsapevole ignoranza delle ragioni profonde di questa impresa apparentemente impossibile.
Nella stolidità “programmista” di quanti si credono realisti perché si ostinano a leggere la storia e la geografia secondo le sole grandezze misurabili – dello spazio, del tempo, della demografia, del reddito… – e non a quelle fuggevoli della passione, dell’opinione e del carattere del popolo, non ci dovrebbe ad esempio essere spazio, nel nuovo triangolo d’oro dell’export italiano (Lombardia, Veneto e Emilia), per il successo così clamoroso della Lega protezionista, né ci dovrebbe essere ascolto tra le giovani generazioni, mediamente più scolarizzate delle precedenti, per il pregiudizio stregonesco dei cospirazionisti grillini. Non dovrebbe, ma c’è.
L’errore che sta dietro molta pubblicistica anti giallo-verde è ritenere che il trionfo dell’irrazionalità e il dilagare della follia nella politica sia una sorta di errore di programma, rimediabile con un reset o con una “uscita forzata”. È razionalmente spiegabile il successo dell’irrazionalità, ma non lo si può fronteggiare, né battere degradando l’irrazionalità a un mero “non essere” della Storia. Come purtroppo lo stesso debunking, che è pratica sempre meritoria e necessaria, tende a non smentire, ma a consolidare per reazione credenze infondate, così un’opposizione che si limiti a irridere quanti – oggi la maggioranza – sono catturati nella rete delle “verità alternative” rischia di rendere ancora più incomunicabili le verità oggi non comunicanti.
Peraltro, la rappresentazione dell’irrazionalità come mera ignoranza, cioè assenza di informazione o di conoscenza, è essa stessa irrazionale – e tutt’altro che evidence based - perché ad essere entrato in cortocircuito nella politica italiana e in grande parte della politica occidentale non è il sistema del sapere, bensì quello della fiducia. La ragione per cui persone mediamente scolarizzate credono ai piani di sostituzione etnica orditi da Soros o si convincono che le politiche vaccinali rispondano unicamente agli interessi delle case farmaceutiche (e si potrebbero fare migliaia di esempi simili) non dipende dal fatto che essi sanno e capiscono di demografia o di medicina meno dei loro padri o dei loro nonni, ma dal fatto che non credono più a nulla e dunque sono disposti a credere a tutto, purché soddisfi quel complesso di timori, di desideri e di cattiva coscienza che è sempre – in tutti i regimi, anche nei più razionalmente democratici – una parte essenziale della “domanda politica”.
La lettura superficialmente irrazionale dell’irrazionalità dilagante come pura somaraggine o stupidità impedisce inoltre di comprenderne la natura non solo di causa, ma di prodotto politico, cioè di effetto di una strategia di consenso e di potere, che il mondo digitale consente di industrializzare ben oltre i confini della vecchia propaganda “analogica”. Quando l’attuale presidente facente funzione della Rai ritwittava tutto il veleno che i depositi social sovranisti diffondevano in rete faceva politica, mica informazione. E non c’era nessun errore logico nella sua strategia e nel suo effetto.
Ovviamente non bisogna concedere nulla alle ragioni dell’irrazionalità. L’Occidente è stato un modello di successo perché si è fondato sul legame “costituzionale” tra la democrazia e la razionalità politica. Come scriveva Orwell, la vera libertà è quella di dire che due più due fa quattro. Ma la resistenza illuminista alle tenebre della post-truth politics è qualcosa di un po’ più complesso che blastare sui social “gli scemi che ci credono”.