martina

Dall’allargamento della platea dei beneficiari del reddito di inclusione all’introduzione di un assegno universale per le famiglie con figli, dal salario minimo al taglio delle tasse sul lavoro a tempo indeterminato, le proposte lanciate su Facebook dal segretario pro-tempore del PD Maurizio Martina hanno un solo elemento in comune tra loro: non si sa da dove potrebbero venire le risorse per finanziarle. E a ben vedere questo è anche il tratto in comune che hanno con le proposte programmatiche del Centrodestra e del Movimento 5 Stelle (in una qualsiasi delle loro edizioni in serie).

Nulla di nuovo, in effetti. Già durante durante la scorsa lisergica campagna elettorale l’Osservatorio sui Conti Pubblici diretto da Carlo Cottarelli aveva evidenziato come il programma elettorale del PD conteneva uno strano paradosso: era quello più responsabile dal lato della spesa, nel senso che prevedeva misure espansive per soli 38 miliardi di euro (contro i 136 del Centrodestra e i 101 del M5S) ma era allo stesso tempo il più irresponsabile dal lato delle coperture: tutta la nuova spesa prevista risultava “scoperta”.

Ora Martina sembra ripartire proprio da lì, proponendo una versione edulcorata ma non meno economicamente insostenibile dei programmi allucinogeni dei suoi avversari, soprattutto di quello a cinque stelle, del quale in qualche modo scimmiotta anche la retorica: “reddito di inclusione”, “assegno universale”, “salario minimo legale”. Chi paga?

Non sembra quindi finire quell’incantesimo che da alcuni anni spinge il Partito Democratico ad assecondare l’agenda dei suoi avversari, piuttosto che a contrastarla apertamente con un’identità alternativa. Dal tempo in cui bisognava assecondare il federalismo della Lega Nord per impedire la crescita della Lega Nord all’ultima campagna elettorale, quella dell’Europa-sì-ma-non-così, c’è una lunga serie di case study dei risultati non proprio esaltanti di questa tendenza: tra l’originale e la sua copia sbiadita, gli elettori preferiscono l’originale, soprattutto quando questa forma di grillismo all’acqua di rose è solo meno accattivante, ma non meno sganciato dalla realtà.

Di più, in un paese la cui produttività del lavoro è in declino costante, il Partito Democratico riordina le sue priorità secondo un’agenda smaccatamente assistenzialista e redistributiva, proponendo di redistribuire risorse che semplicemente non esistono perché il sistema-paese non è in grado di produrle. La pretesa di attribuire alla disuguaglianza - e non alla crisi di produttività - il declino economico e sociale dell'Italia è una bufala meno “cattiva” di quella per cui “è tutta colpa dell’euro” o “è tutta colpa degli immigrati”, ma ha in comune con le bufale “cattive” l’idea autoassolutoria e rassicurante per cui c’è sempre qualcun altro su cui scaricare il costo e la colpa di quel che non va. 

@giordanomasini