La grande borghesia italiana alla conquista del carro del vincitore
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Sono diversi i cattivi maestri che continuano a trovare comoda la sedia dietro la cattedra, ma mai insospettabili. Eugenio Scalfari, nella cornice salottiera di Dimartedì — che mette in onda un voyeurismo del gerontocomio non solo grottesco, ma autenticamente brutto — ha già cambiato bandiera. Fino a ieri a reggere l’ostensorio dell’argine ai populismi, oggi pronto a indicare nel webmaster di maggior successo che la storia ricordi il nuovo feticcio della parte giusta, l’Italia Migliore come la chiamava Bersani. La rivoluzione dopotutto è sempre stata un pranzo di gala il cui il piatto forte è il riposizionamento.
Il Movimento fondato dal comico e gestito dall’agenzia di comunicazione unipersonale, che ha descritto per l’intera campagna elettorale il partito di riferimento della sinistra italiana, (area cui Scalfari si iscrive con orgoglio) come una banda di criminali corrotti e spregiudicati, è adesso quello, magicamente, proprio “il grande partito della sinistra moderna”.
Naturalmente, la parola chiave è responsabilità. Sempre quella altrui, è chiaro, e mai la propria, da cui passa l’aver incarnato una classe dirigente sconfitta oltre ogni immaginazione e che, dopo aver fallito tutto ciò che poteva essere fallito, pur di non rassegnarsi a scomparire cerca, annaspando, di apporre il proprio bollino di egemonia culturale sul cavallo buono del momento. Restare in linea per non perdere la priorità acquisita, come al telefono nell’attesa del taxi. Sarà la senilità, certo, e in effetti l’Italia da paese vecchio e stanco ne sta dimostrando una dose sensibile, specie nelle piroette sgraziate della sua borghesia intellettuale, e nei suoi rantoli. Anche Confindustria si è sentita in dovere di sottolineare che “i 5 stelle non fanno paura”. Sarà il contrappasso per le previsioni apocalittiche sul No al referendum costituzionale.
Ne emerge comunque un quadro desolante, di distanza siderale da qualsiasi piano di realtà: la sinistra italiana è pronta a suicidarsi per non morire. Renzi è durato poco più di un sospiro, si sa, perché di sinistra non era e non è mai stato, ce l’hanno ripetuto in ogni modo, e forse è questa la volta buona in cui sia lui stesso a decidere che mai lo sarà. Quel che rimane sotto la polvere sono i Di Maio, che alla fine ce l’hanno fatta e continueranno a farcela, perché come la prima Repubblica è dura a morire lo sono anche le frasi che l’hanno fatta grande: è anche lui un uomo di media statura, ma non vede giganti intorno a sé. E tanto si può dire di Di Maio, ma non che abbia la stazza di un granatiere.