Per millenni alla coltivazione è stato associato un forte valore simbolico e religioso. Oggi si tenta di riscoprire quei valori attraverso pratiche come l’agricoltura biodinamica. Ma funziona davvero, o il suo successo è solo il frutto della credulità di una popolazione in larga parte urbanizzata che ha perso il contatto con la terra?

baglioni - Copia

Quando, circa 10.000 anni fa, i primi uomini abbandonarono la vita da cacciatori e iniziarono a diventare agricoltori, stava avvenendo qualcosa di epocale: l’uomo smetteva di esser nomade e iniziava a stabilizzarsi, formando piccoli villaggi, da cui poi si sarebbero originate le grandi civiltà del passato e del presente. Fin dall’inizio, dunque, l’agricoltura, oltre che essenziale per la sopravvivenza delle comunità umane, è sempre stata forte motore di cambiamento e non c’è dunque da stupirsi se ad essa sia sempre stato associato un valore fortemente simbolico-religioso durante tutta la storia dell’uomo.

Secondo il libro sacro dei Maya, ad esempio, gli Dei modellarono il primo “madre-padre” col mais giallo: quando il Maya mangiava il mais non solo rigenerava sé stesso, ma si ricordava anche del suo creatore. Spostandoci in territorio europeo si possono ricordare prodotti come pane, olio e vino, così importanti nella nostra tradizione culinaria e così presenti nella simbologia spirituale e religiosa. Tutto questo ha permesso la diffusione di riti e di metodi di coltivazione legati all’astrologia e alla religione, oltre che di pregiudizi verso alcune colture, tramandati anche per secoli, per il loro aspetto, colore o presunto legame con divinità e dimensione esoterica. Basti pensare al fatto che fino ai primi dell’800 il pomodoro era considerato tossico.

Ma cosa c’entra tutto questo con l’agricoltura di oggi? Iniziamo a considerare che le colture che ci sono adesso non sono più quelle che c’erano una volta: molte sono state abbandonate, nuove varietà sono state selezionate o addirittura “create”. Un’evoluzione lunghissima, tutt’altro che graduale, che ha permesso, in particolare nell’ultimo secolo, alla nostra società di aumentare la produttività dei raccolti, dunque la sicurezza alimentare e il tempo da dedicare ad altre attività umane.

La popolazione, quindi, ha iniziato a diventare “cittadina” e a perdere il legame con la terra, con le colture e col modo di fare agricoltura. Oggi la stragrande maggioranza di noi non ha mai messo piede in un campo, i bambini più piccoli fanno fatica a capire che la frutta non cresce negli scaffali del supermercato e, in generale, abbiamo perso il significato di coltivare (che deriva da “colo”, cioè prendersi cura). Soprattutto abbiamo dimenticato come si stava prima dell’avvento degli ibridi, delle mietitrebbia meccanizzate e dei prodotti “di sintesi”.

Chi ha una certa età, però, potrà ancora ricordare, grazie a genitori e nonni, la dura vita del contadino e le difficoltà nel reperire cibo in quantità e qualità sufficiente: un pezzo di pane lo si poteva (o doveva) far durare per settimane e in mancanza d’altro, anche se probabilmente cattivo e senza sapore, si trasformava nel piatto più prelibato del mondo. E la cena era un momento centrale della giornata, della vita familiare, nonché occasione di “ringraziamento”. Oggi questa atmosfera così particolare (che non vuol dire migliore) si è persa e, complice una vita più agiata, ma anche più frenetica, sono molte le persone che vorrebbero il ritorno di quell’atmosfera che immaginano, quasi fosse un loro ricordo, idilliaca e, soprattutto, sana.

Questa voglia di ritorno al passato, alla natura e alla vita dei campi, ha favorito la diffusione dell’agricoltura biologica. Ultimamente sta prendendo piede anche l'agricoltura biodinamica, un metodo di coltivazione che ritiene fondamentali, per la fertilità del terreno e la qualità dei prodotti, le energie astrali, lo zodiaco e le posizioni dei pianeti. E forse non è un caso che il prodotto biodinamico che più di ogni altro sta avendo successo sia proprio il vino, così fortemente legato alla dimensione spirituale. Tutto questo, però, non significa che questo metodo abbia valore, né i prodotti più sani o buoni.

La biodinamica ha origini antiche (1924), che risalgono alle teorie del filosofo austriaco Rudolf Steiner e, in particolare, ad alcune sue lezioni. Nonostante non fosse un esperto in materia, teneva un sacco di lezioni su tantissimi argomenti, anche improbabili, come quelli sulla razza lemuriana o sulla vita su Saturno. Nelle sue lezioni sull’agricoltura, invece, dava suggerimenti molto bizzarri su come tenere lontani dal campo topi o insetti, oltre a consigli medici piuttosto esilaranti: ad esempio affermava che il pomodoro andasse vietato ai malati di cancro e le patate fossero da limitare poiché renderebbero l’uomo materialista.

L’ agricoltura biodinamica, che nacque sugli insegnamenti di Steiner dopo la sua morte, ha molti punti in comune con l’agricoltura biologica, ma si differenzia per l’assoluta necessità di usare una serie di “preparati”: sostanze che secondo Steiner migliorano la fertilità della terra, la salute della piante e la loro qualità. Ognuno di questi composti viene ottenuto con un preciso  protocollo e descrizioni “spirituali”. Fra questi il più famoso è il cornoletame (preparato 500): esso consiste in letame bovino che viene messo nel corno di una vacca e tenuto seppellito a fermentare durante la stagione invernale. In primavera esso verrà “dinamizzato” con acqua (!) per “influenzare la struttura elementare della materia”, sottoposto a una serie di scuotimenti e quindi spruzzato su piante e terreni.

Secondo Steiner gli scuotimenti (il riferimento all’omeopatia, nata poco prima, è evidente) servono a trasferire l’energia nel letame e l’uso del corno di vacca è motivato dal fatto che attraverso di esse le “forze formative eterico-astrali” penetrano nell’organo digestivo e sono, dunque, irradianti di vita e astralità. Tutte conclusioni prese senza uno straccio di logica, ma solo attraverso argomentazioni esoteriche e filosofiche: dalla “socialità” di alcune piante rispetto ad altre, fino a sostenere di avere acquisito una sorta di “percezione spirituale diretta”. Per questo i dettami della biodinamica vanno recepiti come tali, senza nemmeno bisogno di essere descritti, né tantomeno verificati per efficacia.

Verrebbe da sorridere se non fosse che Steiner è tutt’oggi considerato un luminare, che esistono le scuole steineriane e che queste pratiche sono spesso oggetto di finanziamento e sussidio pubblico.

Ma almeno funziona? E se non funziona, perché è così in uso? I precetti di Steiner contengono, come abbiamo visto, sciocchezze senza alcun fondamento scientifico. Ma questo non vuol dire che non sia possibile coltivare la terra e ottenere dei prodotti di qualità seguendo il suo metodo. Andrebbe però dimostrato, e nessuno fin’ora c’è mai riuscito, che è il metodo biodinamico a determinare la qualità del prodotto, e non altri fattori, dalle caratteristiche del suolo al clima, all’attenzione dell’agricoltore. Ad oggi l’unico studio affidabile in cui si sono confrontati per un decennio due campi biologici, dove in uno erano usati anche i famosi preparati steineriani, non ha mostrato differenze significative.

Molti vini di qualità sono biodinamici, ma non è il metodo biodinamico a influire sulla qualità del vino. Infatti ci sono anche ottimi vini non biodinamici, come anche non biologici. Non vanno mai confuse le correlazioni con le causalità: se un viticoltore cominciasse a recarsi in cantina ogni cantina mascherato da Arlecchino il suo vino sarebbe, con ogni probabilità, ugualmente buono. Ma la cosa non sarebbe sufficiente per affermare (anche se di questi tempi senz’altro qualcuno ci crederebbe) che la maschera da Arlecchino è condizione necessaria per realizzare un buon vino. Il successo di certe pratiche risponde più al bisogno irrazionale di riscoprire quella dimensione spirituale legata al cibo che c’era fino a qualche decennio fa. Un bisogno sul quale sono state costruite trovate commerciali di successo, come per esempio l’agricoltura biodinamica.