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“E’ più facile imbrogliare le persone che convincerle di essere state imbrogliate”. 

Lo ha detto Mark Twain, che di aforismi ce ne ha lasciati un bel po’. Chi di noi dopo aver creduto a una storia per molto tempo vuole sentirsi dire di aver abboccato a un amo, di essere stato usato, raggirato insomma? Molto meglio continuare a credere che fosse tutto vero. Tutto ma non fessi, per favore.

Accade che una giudice della Corte superiore di San Francisco abbatta la multa comminata a Bayer da un giudice della medesima città allo scopo di risarcire un giardiniere che, secondo l’accusa, si era ammalato di cancro a causa dell’uso dell’erbicida glifosate. La multa è passata da 289 a 39 milioni di dollari e soprattutto, secondo la giudice, il processo è da rifare.

Non sono le sentenze a decidere se una molecola sia o meno cancerogena alle dosi d’uso. Valeva per la sentenza di condanna dell’agosto scorso, vale naturalmente anche per questa. Un giudice può solo decidere sulle eventuali responsabilità dell’accusato. Ma i titoli dei giornali di agosto scorso li ricordo: “L’erbicida provoca il cancro”. Ora titolano: “Processo da rifare”.

Abbiamo già lungamente scritto su glifosate e su come i pareri delle agenzie che lo hanno valutato siano concordi: non pericoloso alle dosi d’uso. Abbiamo anche già scritto come solo IARC abbia decretato che è “probabilmente cancerogeno”, e altri meglio di me possono spiegare come questa informazione sia del tutto inutile, dato che questa agenzia valuta il pericolo e non il rischio effettivo, tanto che il glifosate figura nella stessa categoria del caffé; peraltro IARC non aveva nemmeno preso in considerazione tutte le informazioni disponibili, e questo azzoppa le sue conclusioni.

Quello su cui mi interessa riflettere ora, però, è l’esito di simili vicende. La politica italiana, buona parte di quella europea, si sono già impegnate promettendo di eliminare il glifosate. Poco conta che non sia dimostrato che è rischioso; poco conta che verrà sostituito con molecole più costose, meno efficaci, meno studiate; poco conta che l’eliminazione del glifosate affosserà le pratiche di agricoltura conservativa, che hanno un’alta valenza ambientale. L’importante è l’annuncio.

Quello che manca è la visione della complessità. Qualcosa di simile accade con la sfrenata promozione dell’agricoltura biologica.
I consumatori comprano cibi biologici essenzialmente per due motivi.

Il consumatore è preoccupato per la propria salute? Ma l’agricoltura convenzionale produce cibo sano. Qui i dati del Ministero della Salute sui residui di fitofarmaci nei prodotti agricoli 2016 italiani, importati, bio, convenzionali e per l’infanzia, che lo dimostrano. Il bio non è nemmeno più nutriente del convenzionale e diversi studi lo provano, per esempio questo. Quindi perché spendere di più?

Il consumatore è preoccupato per l’ambiente? Ma l’agricoltura convenzionale permette di sfamare più persone utilizzando meno suolo, e tutela la biodiversità e l’ambiente meglio di altri approcci produttivi, quale il biologico. Produrre di meno, come è nel caso del biologico, significa aver bisogno di più terra per sfamare lo stesso numero di persone. E la popolazione mondiale sta aumentando.

In definitiva: è davvero "etico" il biologico? Non è domanda da poco. Eppure la risposta è già data per scontata. Lo dimostra il convegno che si terrà il prossimo mese al Politecnico di Milano, dedicato principalmente all’agricoltura biodinamica oltre che a quella biologica. Gran parata di personalità, dal rettore al sindaco di Milano, ministri ed europarlamentari che, senza pudore alcuno e in una sede tanto prestigiosa come quella universitaria, parleranno di come salvare un intero comparto, i consumatori, il pianeta tutto grazie a pratiche di magia. Sì perché la biodinamica sta alle scienze agrarie come l’astrologia sta all’astrofisica. E tutto questo in una Università: dovremmo bruciare le nostre lauree davanti ai tavoli dei relatori.

Io voglio un’agricoltura sempre più sostenibile. Io voglio contribuire al contrasto del cambiamento climatico. Io voglio confermare ai consumatori che il loro cibo è sicuro. Io voglio poter accedere a tutti gli strumenti che l’innovazione ci mette a disposizione per migliorare la qualità del nostro processo produttivo.

Anche qui userò parole non mie, non ho bisogno di inventare nulla: "la sopravvivenza della nostra specie è sempre dipesa dal progresso nell’alimentazione e nell’agricoltura”

Io voglio una politica che sappia avere una visione della complessità.