Il 'margine della calunnia' dell'agricoltura alternativa
Scienza e razionalità
In una intervista molto bella Elena Cattaneo spiega cos'è l'agricoltura integrata, cioè la produzione che associa (integra) le tecniche agricole e le conoscenze scientifiche più aggiornate, con le pratiche più tradizionali, che sarebbe assurdo abbandonare, perché sono utili ed efficaci.
Qualche considerazione a margine. Le aziende che scelgono di fare ricorso senza pregiudizi ideologici verso la scienza e la tecnologia in agricoltura (cioè appunto fanno agricoltura integrata) si trovano ad affrontare un peculiare problema di business, da cui è difficile difendersi: si trovano a sostenere un costo indiretto aggiuntivo (e talvolta un danno economico vero e proprio) generato dalle ideologie dell'agricoltura alternativa, nelle loro varie versioni, bio, biolodinamica, naturale ecc. Questo avviene in particolare per le piccole e medie aziende di prodotti di alto pregio - come il vino - che lavorano sulle stesse fasce di mercato dei piccoli produttori "alternativi", i quali tendono a monopolizzare il concetto di qualità agli occhi di un pubblico sempre più ampio.
Funziona così: il mercato alimentare e agricolo "alternativo" si basa sul convincimento dei consumatori - infondato e basato su informazioni false, pseudoscientifiche o inesatte - che i prodotti "convenzionali" siano per definizione dannosi per la salute e l'ambiente. A causa di questa convinzione i consumatori tendono a escludere a priori dalla loro gamma di scelte e preferenze possibili i prodotti "non alternativi". Vi è poi un altro convincimento etico, e cioè che i produttori "alternativi" non guardino solo al profitto. Ma in realtà i produttori alternativi, come chiunque altro, cercano di scoprire il prezzo massimo che i consumatori sono disposti a pagare per i loro prodotti (oltre al quale semplicemente non riescono a vendere perché vanno "fuori mercato").
Di solito, nella ricerca di questo prezzo massimo qualunque produttore fa i conti con i concorrenti diretti. Ma che succede se qualcuno riesce a diffondere tra i clienti la voce che alcuni prodotti sono potenzialmente tossici e inquinano e sfruttano, rispetto ai suoi che invece sono sani e etici? Succede che il produttore "etico" può vendere il suo prodotto al prezzo A + X rispetto al prezzo A del suo concorrente diretto, che fa un prodotto altrettanto di qualità e altrettanto attento all'ambiente e alla salute - e probabilmente di più, perché l'agricoltura integrata mette a disposizione gli strumenti più aggiornati per inquinare meno e ridurre al minimo i rischi per la salute - ma che il consumatore guarda con sospetto a causa della convinzione che "non è etico". Il margine X è un vero e proprio "margine della calunnia" - o specularmente, per il produttore non alternativo, il costo del sospetto nei suoi confronti - reso possibile dal fatto che il produttore alternativo si è messo al riparo dai suoi concorrenti non alternativi, screditati agli occhi del consumatore.
Nei casi più estremi, alcuni consumatori - un pubblico senz'altro in crescita, come si vede dal fenomeno in espansione, ad esempio, delle enoteche "solo vini naturali" - rigettano a priori qualunque prodotto non sia "alternativo": quando questo avviene, la convinzione secondo cui i prodotti "integrati" corrispondono a inquinamento, veleni e sfruttamento di persone e risorse avrà condotto all'espulsione dei produttori "convenzionali" da intere fasce di consumatori. In altre parole, i produttori "alternativi" si saranno ritagliati una vera e propria rendita "della calunnia".
È evidente che i produttori "alternativi", che siano biologici, biodinamici, naturali, indipendenti o quant'altro, se fossero esposti alla concorrenza diretta dei colleghi integrati, dovrebbero rivedere i loro prezzi. E non ha molto senso dire, come spesso essi sostengono, che i loro prodotti sono più cari perché i costi di produzione sono più alti. Sono più cari perché il mercato concede loro di fare prezzi più alti sulla base della convinzione che gli altri prodotti sono tossici e dannosi per l'ambiente. Se avessero solo costi più alti ma non vi fosse tale convinzione nei consumatori, andrebbero fuori mercato, perché non potrebbero reggere la concorrenza. Ma grazie alla protezione che si sono creati, avendo convinto i consumatori che gli "altri" sono inquinatori e producono cose cattive per la salute, possono permettersi di beneficiare di un privilegio, equivalente a un sussidio indiretto, da parte della collettività. Che si aggiunge ai sussidi diretti che l'agricoltura percepisce in varia maniera, molti dei quali riservati al "bio" e assimilati.
I produttori convenzionali non avranno forse barbe incolte e sguardi assorti da filosofi egualitari e ambientalisti, eroici resistenti dell'etica collettiva alle inesorabili logiche dello sfruttamento del capitalismo. Si limitano a coltivare i loro terreni, e non, in generale, aspirazioni di riforma etica della società, perché non pretendono di sapere cos'è il bene altrui. Non disdegnano certo il profitto. Tuttavia, siccome un'etica individuale ce l'hanno davvero - salvo i furbi e i furfanti, che ci sono in ogni umana categoria - e di solito ci tengono molto, preferiscono che tale profitto sia il frutto dell'apprezzamento e del riconoscimento spontaneo che i consumatori danno ai loro sforzi, competenze, e meriti, mentre troverebbero inaccettabile accaparrarsi un introito generato da una calunnia pubblica - fondata come tutte le calunnie sulla diffusione di informazioni false - nei confronti di qualcuno.
I produttori che impiegano i metodi dell'agricoltura integrata, un problema però ce l'hanno, con se stessi. Sembra si vergognino delle loro scelte produttive, come se ci fosse qualcosa di vero sulla bufala che loro sono sfruttatori e avvelenatori di persone e risorse. È, in un settore specifico, il complesso di colpa immotivato che affligge tanti imprenditori, che si sono convinti, sulla scorta di una "verità" vera solo perché diffusa, che fare l'imprenditore significa essere un "padrone" che sfrutta i lavoratori. Si tratta di bugie infondate: l'agricoltura integrata consente di produrre alimenti sani e di ridurre al massimo, con tutte le tecnologie e conoscenze disponibili, l'impatto ambientale (che è inevitabile). Serve coraggio, e bisogna difendere apertamente e con forza il proprio lavoro, la propria dignità e la verità dei fatti.