zingaretti grande

Il PD è un partito molto al di sotto delle proprie ambizioni, ma anche dei propri meriti.

Nell’Italia secondo repubblicana, che ha rimpastato le rovine del sistema dei partiti edificando contenitori vuoti di leadership assolute e poi ripudiando la parola “partito”, come segno di novità e di adesione allo spirito del tempo, il PD ha seguito una strada diversa e migliore, provando a ricostruire con l’eredità morale e materiale della sinistra post-comunista e post-democristiana un partito costituzionale, democratico, contendibile, ideologicamente mediano, con regole e valori rispettabili e perfino invidiabili, in una politica senza regole e senza valori.

Il PD come istituzione (i partiti sono istituzioni sociali indispensabili, per il funzionamento di una democrazia) rimane una delle cose più degne e, per così dire, grandi nate nella disgraziata Seconda Repubblica e, a suo modo, ha funzionato. Ha intercettato osmoticamente grazie al meccanismo delle primarie il mutamento della coscienza progressista (il renzismo non sarebbe mai nato in nessun caminetto di correnti), ha prodotto una classe dirigente mediamente professionale e efficiente, soprattutto al Centro-Nord e ha rappresentato in tutti i momenti critici della storia recente un punto di riferimento imprescindibile dei governi di emergenza.

In una breve fase della non lunghissima parabola renziana, il PD ha anche inverato, con numeri ragguardevoli, la propria ambizione cosiddetta “maggioritaria” a un prezzo – quello dell’ibridazione ideologica con il pensiero liberale e, vade retro, liberista – considerato però insostenibile dalla parte più tradizionalista dell’establishment interno.

In tutto questo, non c’è stato, come usa dire, l’amalgama. Nel senso che attorno alle regole e ai valori ufficiali di questo partito (quelli del Lingotto, diciamo) hanno continuato a muoversi con regole e valori tutt’affatto diversi gruppi di interessi e di potere, che continuavano a pensare un PD a immagine e somiglianza della propria provenienza e non della comune destinazione.
Nel PD continuano a riconoscersi al primo sguardo gli ex comunisti e gli ex democristiani, gli ex diessini e gli ex margheritini, e tutti continuano a fare quello che hanno sempre fatto con amicizie, inimicizie e abitudini incrollabili.

Così il risultato è che con l’avvento del PD non si è passati oltre alle storie passate, ma il morto ha continuato a riacchiappare il vivo e l’ex PCI e l’ex DC ad accoppare il PD, al punto che ancora oggi non esiste praticamente un solo dirigente nazionale di peso che sia un “nativo PD”. La segreteria di Zingaretti è la manifestazione di questo fenomeno, così come il logoramento a cui è stato sottoposto.

Quando il (forse) quasi ex segretario dice sconsolato: “Qui funziona solo il fratricidio” forse vorrebbe denunciare un problema morale, mentre senza accorgersene fotografa il problema politico del fratricidio, cioè del settarismo e del familismo ideologico, come costituzione materiale del PD. Familismo di cui Zingaretti per primo è stato un rappresentante esimio, facendo del suo PD una “cosa” a immagine e somiglianza del post berlinguerismo romano degli anni 80 e 90 e per questa strada giungendo alla fatale e tutto sommato coerente alleanza strategica con il M5S.

Se il PD non torna a essere una istituzione in qualche modo impersonale e non dismette questa retorica para-grillina, da "comunità" e da famiglia di famiglie in cui ci si dovrebbe volere tutti bene e invece - guarda caso - ci si accoltella, tornerà esattamente alle macerie da cui è nato. E penso che nessun sincero democratico (anche non PD) dovrebbe augurarselo.