Laicità, cattolici e ddl Zan. Quando c'era la Dc i diritti arrivavano in orario
Diritto e libertà
Nell’opinione pubblica italiana si sono consolidati luoghi comuni che sono duri a morire, specialmente in politica. Uno di questi, ripreso da alcuni commentatori con riferimento alla vicenda del ddl Zan, riguarda l’uso del sostantivo “democristiano” in forma dispregiativa, a indicare una personalità refrattaria a schierarsi e ad esprimere opinioni, per natura tendente a compromessi di maniera.
A corollario di questa rappresentazione della Dc come partito di ignavi c’è poi quella, non meno ingenerosa, che se ne fa sotto il profilo della cosiddetta modernità culturale, che identifica il democristiano come soggetto conservatore e subalterno ai dettami della Chiesa. È una tesi infondata. Si potrebbe anzi dire, al contrario, che la Democrazia Cristiana sia stata un partito che ha favorito il processo di laicizzazione della politica in questo paese. A meno di pensare che laicità e anticlericalismo siano concetti sovrapponibili, come pure predicato da diversi intellettuali della sinistra più ortodossa: ma questa semplificazione, più che essere un altro luogo comune, è derubricabile a stupidaggine.
C’è un episodio che più di qualsiasi altro fa giustizia di certi pregiudizi ideologici. Nel 1952, alla vigilia delle elezioni amministrative di Roma, si verificò la concreta possibilità che potesse insediarsi un'amministrazione di sinistra. Questo suggerì alle alte sfere vaticane di promuovere un’iniziativa politica dichiaratamente antagonista alle forze progressiste, con la promozione di una lista civica di cattolici facente capo a Don Sturzo e apparentata con la destra e i monarchici.
Alcide De Gasperi, leader della Dc, nonostante le fortissime pressioni dello stesso Papa Pio XII, si disse contrario ed irremovibile sul punto, sul presupposto che che l'unico argine a un'avanzata delle sinistre potesse essere il voto per la Dc, senza alcuna scomposizione della platea elettorale cattolica.
Fu uno scontro duro, l’appendice di un conflitto che perdurava ormai da tempo. Quello che i detrattori degli ambienti vaticani imputavano a De Gasperi, in pratica, era di essere poco incisivo nella lotta ai comunisti. Pare che fosse stato proprio monsignor Roberto Ronca, fondatore del movimento politico anticomunista Civiltà Italica, a concepire la cosiddetta “operazione Sturzo”, in sostanziale continuità con quella che ormai da tempo era la linea vaticana: imporre a De Gasperi un riposizionamento del partito, in primis rinunciando a una legge ad hoc contro la ricostruzione del partito fascista, che avrebbe dovuto invece evolvere in un’altra, assai più generica, contro “tutti i totalitarismi”.
Ma come aveva tenuto duro su questo punto (la legge Scelba fu varata proprio nel giugno del ‘52) l’allora Presidente del Consiglio resistette anche sull’”operazione Sturzo”, che infine naufragò. Il rifiuto di adeguarsi alla linea vaticana costò a De Gasperi un raffreddamento dei rapporti con il Pontefice, che arrivò persino a negargli un’udienza. Di questo, da cristiano e da cattolico, soffrì moltissimo.
E malgrado la proposta, poi recapitatagli da monsignor Pavan, di un incontro riparatore, lui e il Papa non si sarebbero mai più visti.
Un altro episodio significativo nella cosiddetta “questione laica” della Democrazia Cristiana cade ventisei anni più avanti, nella primavera del 1978. In quei giorni era in discussione in Parlamento il nuovo testo sull’interruzione volontaria di gravidanza, frutto dell'unificazione delle proposte intorno all’originale disegno Pratesi.
La Dc aveva offerto un contributo costruttivo, pur nel senso di limitare l’accesso alla misura abortiva, ma senza mai paralizzare l’iter alle camere con la forza dei numeri o imponendo la propria posizione di governo. Il momento era particolarmente pesante (siamo nelle settimane del tragico rapimento Moro), e per ovviare al rischio di arrivare a un referendum, peraltro già promosso dai Radicali e rivolto all’abrogazione di diversi articoli del codice penale, si raggiunse una sintesi tra i partiti che portò la legge ad essere approvata, anche grazie a diverse “defezioni” tra le fila dei contrari interni alla Dc. La sforzo di compromesso messo in campo da Piazza del Gesù fu testimoniato anche dalla presenza delle firme del Presidente del Consiglio e dei ministri democristiani in calce al testo di legge: la richiesta avanzata dagli ambienti cattolici più ortodossi di non sottoscriverlo era infatti stata declinata.
Il profilo tenuto in occasione dell’approvazione della legge 194 costituisce sostanzialmente l’architrave dell’opera di laicizzazione della politica italiana a cui più ha contribuito la Dc: quella in seno alle istituzioni. Come in tale occasione, anche nelle altre circostanze in cui il Parlamento si trovò a gestire questioni eticamente sensibili, il partito di Piazza del Gesù non si spinse a spegnere il dibattito ma, a partire dalle proprie posizioni tradizionali, pur in larga parte conservatrici, si aprì al confronto.
Nell’occasione in cui la Dc fu più sensibile e remissiva al richiamo della Chiesa, cioè nel referendum sul divorzio (1974), la scelta di Fanfani, più che una conferma, fu una contraddizione della laicità democristiana, intesa nel senso dell’autonomia dalle richieste e dagli “ordini” delle gerarchie ecclesiastiche cattoliche. Peraltro, il divorzio aveva diviso e ferito il mondo cattolico in profondità, lungo linee di demarcazione non banali: alcuni cattolici di sinistra, come Giorgio La Pira, erano antidivorzisti a fronte della ribellione esplicita alla Chiesa di figure – vedi Pietro Scoppola – e organizzazioni importanti – pensiamo alle Acli – del cattolicesimo progressista. Da molti punti di vista, si può forse dire che la Dc, come partito dei cattolici, in quella occasione non poté essere laica perché non poté essere “una”, essendo essa stessa dilaniata dalle divisioni che attraversavano il mondo cattolico.
Resta il fatto che confondere la laicità dell’istanza politica (la cosiddetta “evoluzione dei costumi”, per capirci) con l’unica forma di laicità possibile significa trascurare l’esistenza di una cosiddetta “laicità del metodo”, che fu invece prerogativa di questo partito. La Democrazia Cristiana riuscì a garantire per lungo tempo un reale dibattito democratico nell’agorà parlamentare, per quanto a volte di inaudita asprezza, rifuggendo tentazioni totalitarie o quantomeno muscolari che, spesso a colpi di voti di fiducia, hanno invece caratterizzato le ultime stagioni politiche.
Sul perché le cose abbiano preso nel tempo una piega così diversa, la risposta più plausibile sta proprio nella fine della Dc come partito di massa, e come cinghia di trasmissione tra il mondo cattolico e la sua forza di espressione politica.
Venendo meno un soggetto partitico unitario nel senso più pieno del termine, si sono via via affermate le individualità che la diaspora aveva liberato.
Individualità che tuttavia, private di quella forza di sintesi - tanto di contenuto che di spazio politico - che la Dc garantiva, hanno finito per farsi fagocitare da un bipolarismo ontologicamente fondato sulla disarticolazione dei corpi intermedi; e in cui la gerarchia ecclesiale poteva finalmente essere chiamata a giocare il proprio ruolo in modo diretto, quindi senza più filtri “di partito”.
Ma proprio quei filtri erano la premessa del metodo di laicità di cui si è scritto, che doveva caratterizzare i rapporti tra sfera religiosa e sfera secolare, orientandoli a reciproco rispetto degli ambiti di azione. La scomposizione e la confusione dei ruoli ha fatto sì, per citare il filosofo Antiseri, che i cattolici finissero per essere “presenti ovunque e inefficaci dappertutto”. Inefficaci, purtroppo, anche alla cosiddetta “causa laica”, vista nella sua globalità.
Nella stagione dei “valori non negoziabili” e dell’oltranzismo cattolico sui temi del fine vita, del diritto familiare e riproduttivo e della ricerca scientifica – primo decennio del secondo millennio – la Dc era già finita, e non è un caso che quella fiammata di radicalismo conservatore, quando non reazionario, vide come protagonisti esponenti che in larga misura non venivano dalla storia cattolica, ma da quella laica, come Pera, Quagliariello e Roccella, o da quella leghista e post-fascista, cioè da politici la cui militanza e formazione cattolica non era maturata né dentro, né attorno a organizzazioni cattoliche e tantomeno alla DC e che tendevano a dare ai temi bioetici un valore identitario e “escludente”, che nel mondo democristiano non fu mai loro assegnato.
Arriviamo ai giorni nostri. A un osservatore attento non sarà sfuggito che proprio in una vicenda delicata e complessa come quella del ddl Zan, quel che più è mancato ai promotori della norma è stato appunto un autentico, forte e credibile contraltare politico. Contraltare che avesse cioè il peso di reggere un confronto sui numeri, e al tempo stesso l’intelligenza di coltivarlo.
Attribuire questo ruolo ai provocatori della destra sovranista sarebbe un errore, ed errore ancor più marchiano quello di continuare a qualificare, con intenzione offensiva, “democristiani” tutti coloro che, per un motivo o per un altro, non aderiscano allo stesso modello di progresso o di modernità di una pretesa “maggioranza civile”.
Non escludo che, se nel panorama nazionale esistesse ancora la Dc, questa legge sarebbe stata approvata già da qualche anno: forse non con lo stesso identico testo che è stato consapevolmente portato alla bocciatura, ma neppure svendendo principi di tolleranza e civiltà che furono - è bene ricordarlo - anche patrimonio di milioni di elettori democristiani.
Sia chiaro, sarebbe fuori luogo affermare che la Democrazia Cristiana sia stata motore della laicità nel nostro paese. Non ne è stato il motore e, pensando a un velivolo, neppure le ali. Quelle funzioni di “propulsione” si adattano meglio ad altre eccellenti personalità, sia del mondo radicale e liberale, che del socialismo riformista.
La Dc può essere vista piuttosto come la pista di atterraggio, su cui tante riforme di progresso sono arrivate nel sistema sociale italiano. Ma se per caso il paragone non dovesse piacere, si concedano perlomeno le ruote del carrello. Comunque indispensabili, per quanto minuscole, a chi vuol scendere sulla terra anziché perdersi tra le nuvole. A ben guardare, la grande stagione dei diritti civili (divorzio, nuovo diritto di famiglia, aborto, legge sulla rettificazione del sesso a favore delle persone transessuali) è tutta compresa nel periodo del monopolio politico democristiano. Non è forse un caso se quando c'era la Dc i diritti (per quanto sgraditi alla Dc) arrivavano in orario, o meno in ritardo di quanto accada oggi.