Unioni civili, una legge con due papà: Renzi e Bergoglio
Istituzioni ed economia
Di storico nella legge sulle unioni civili c'è forse solo il ritardo con cui è stata approvata e l'insieme di fortunate coincidenze che hanno consentito al premier Renzi di portare a casa un testo tanto brutto nel contenuto - con lo sfregio finale del (non) obbligo di fedeltà, preteso da Alfano - quanto utile, alla fine, negli effetti.
Quando la legge entrerà in vigore, le coppie gay, oggi condannate da un diritto avverso a figurare meramente conviventi o coinquiline davanti alla società e alla legge, troveranno un modo decente e decentemente garantito di "fare famiglia". Non è affatto poco ed è molto di più di quello che, in circostanze normali, la politica italiana avrebbe consentito.
Le coincidenze favorevoli riguardano entrambe le sponde del Tevere su cui questa partita si è giocata per anni senza esiti. La prima riguarda proprio il capo riluttante della "resistenza cattolica".
Papa Bergoglio è del tutto estraneo alla vicenda politica e alla sostanza culturale della Chiesa ruiniana. Ha quindi lasciato che i vescovi italiani protestassero e organizzassero una non irresistibile opposizione al ddl Cirinnà, ma non ha mai dato l'idea di pensare, come il suo predecessore, che proprio sulle questioni "sessualmente sensibili" - omosessualità, famiglia, procreazione - l'episcopato italiano esprimesse la parte più preziosa e originale della propria identità politico-religiosa.
Le questioni etiche che affliggono l'attuale Pontefice sono tutte legate al disordine globale e alle questioni di vita e di morte - fame, persecuzioni, migrazioni ... - della sua Chiesa "terzomondiale". Nell'intrinseco disordine morale (Ratzinger dixit) dell'amore diverso, Francesco manifestamente non vede minacce antropologiche e dunque affronta il tema con malcelata negligenza, fedele, dal punto di vista dottrinario, alle tesi ufficiali, ma disimpegnato dalle battaglie ultra-conservatrici dell'episcopato "familista".
Il disimpegno del Pontefice è stato il vero via libera a questa legge.
La seconda coincidenza favorevole riguarda invece il quadro politico italiano e l'evidente subordinazione della minoranza "cattolica" (intra ed extra-PD) al disegno renziano. A Renzi la legge sulle unioni civili serviva per battere un colpo a sinistra e per confermare un approccio trasversalmente modernizzatore. E se l'è portata a casa per come gli serviva.
La battaglia sulla stepchild adoption, che gli era richiesta da una parte, come, al contrario, quella per una ulteriore "defamilizzazione" del nuovo istituto, che gli era suggerita dalla componente cattolica del PD e dal NCD, non servivano al suo disegno e sono state sacrificate a un messaggio chiaro e semplificato.
In Parlamento per questa legge non c'erano i voti, se non con la fiducia. Ce ne sarebbero stati per altre leggi, forse migliori o forse peggiori, che avrebbero però messo a rischio la tenuta della maggioranza. Quindi anche questa legge è diventata giocoforza "governativa", come sarebbe stato meglio che non diventasse e non solo per una ragione di precedenti.
Anche questa legge, inoltre, come quella sulla riforma costituzionale, è l'effetto di un formidabile gioco di carambole nelle variabilissime maggioranze del potere renziano. Ed è l'ennesima prova di forza del premier e di debolezza di tutti gli altri, dentro e fuori dal suo partito. Gli equilibri instabili e precari della legislatura, in tutti i passaggi che contano, continuano a giocare a favore del segretario del PD e del suo disegno.
In fondo, le unioni civili italian style hanno due papà, il Papa e il premier, ed anche per questo è improbabile che a causa loro le sponde del Tevere tornino ad allargarsi.