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Nel dibattito sui diritti delle coppie omosessuali è entrata, tra le altre cose, anche la questione relativa al riconoscimento o meno della possibilità di estendere anche a questo tipo di unioni l’istituto della reversibilità delle pensioni.

La reversibilità è l’istituto che garantisce un assegno vitalizio al coniuge superstite (oltre che, in misura minore, ad altri parenti stretti se sussistono determinate condizioni) in caso di morte del lavoratore o del pensionato. E' stata introdotta nel nostro sistema alla fine degli anni ’30 dello scorso secolo ed era volta a tutelare principalmente la figura della donna, moglie, considerata una componente strutturalmente debole della coppia e della società. La donna, infatti, nella gran parte dei casi non lavorava e non era quindi in grado di produrre reddito. Durante il periodo fascista, è stato quindi ritenuto ragionevole istituire un presidio pubblico a difesa delle donne che, rimaste vedove, rimanevano senza introiti e che, comunque, venivano considerate "a prescindere" inadeguate a lavorare e a guadagnarsi la sussistenza. Oggi si pone il problema se estendere questo istituto anche alle coppie omosessuali.

Da un lato certamente esiste un problema di equità: tutti i lavoratori etero o omosessuali pagano i salatissimi contributi pensionistici sul proprio reddito e, dunque, non c’è ragione per negare ai secondi le stesse prestazioni e benefici che vengono da sempre garantiti ai primi. Tanto più che, secondo uno studio de lavoce.info il costo di tale operazione sarebbe irrisorio.

Dall’altro però è difficile individuare in una coppia omosessuale l’esigenza di tutelare uno dei membri della medesima in quanto soggetto “strutturalmente debole” perché inadeguato a lavorare. Alcuni potrebbero con buone ragioni sostenere che manca il presupposto per garantire questo tipo di tutela. Allo stesso tempo, pur in un Paese come l’Italia in cui il tasso di occupazione femminile è tra i più bassi d’Europa, è difficile sostenere che la donna sia ancora oggi, come forse era nella prima metà del secolo scorso, inadeguata al lavoro e quindi meritevole, in quanto tale, di garanzia reddituale in caso di premorienza del marito. Le donne sono tra le migliori studentesse universitarie e nelle coorti più giovani lavorano come se non più degli uomini. Oggi è, infatti, sempre più raro trovare giovani coppie in cui solo uno dei due lavora: la figura della casalinga sta pian piano sparendo.

D’altra parte, anche a causa dell’abnorme cuneo contributivo e fiscale, gli stessi giovani faticano a trovare un lavoro e se lo ottengono è spesso mal pagato. e sono sempre di più i cittadini che decidono di non sposarsi o comunque di rimanere single e che, comunque, sono costretti a “pagare” per un istituto di cui non potranno usufruire se non in maniera marginale.

Ancora, c’è chi obietta che questo istituto si presti a un utilizzo improprio e truffaldino rappresentato, ad esempio, dall’organizzazione di matrimoni “fittizi” tra anziani vicino alla dipartita e baldi giovani in cerca di un reddito garantito. La riflessione che si è aperta sull’estensione della reversibilità potrebbe dunque portare a una conclusione inaspettata: abolire l’istituto della reversibilità.

Se non altro, tenendo conto che le esigenze del paese sono molto diversificate, perché non consentire almeno ai lavoratori che lo desiderano di rinunciare alla reversibilità della pensione in cambio di una corrispondente riduzione dei contributi previdenziali applicati ogni mese in busta paga? Posto che la finalità assistenziale originaria di questo istituto è venuta meno e che oggi questo ha valenza meramente assicurativa, l’opt-out facoltativo consentirebbe di ottenere un aumento del proprio reddito e la possibilità, ove ritenuto utile al proprio caso, di stipulare delle assicurazioni sulla vita con istituti privati in concorrenza.

Una soluzione, questa, che consentirebbe di ridurre in modo sostanzioso il cuneo contributivo senza rinunciare a prestazioni di carattere assistenziale fondamentali. Un'ulteriore possibilità potrebbe essere consentire, a chi lo richiedesse al momento del pensionamento, di rinunciare alla reversibilità ottenendo in cambio un assegno più consistente (come già avviene con le pensioni integrative).