L’uscita del film Hammamet sugli ultimi giorni di Bettino Craxi e la contestuale celebrazione del ventennale della sua morte, ripropongono i conti tuttora aperti col fantasma del leader socialista. C’è chi continua a far finta di niente, chi liquida la faccenda con qualche slogan e qualche etichetta, chi recensisce il film. A ormai quasi cinquant’anni dall’avvento di Craxi sulla scena politica italiana, credo che sarebbe necessaria una più distaccata lettura storica. Vi propongo la mia.

Nei decenni successivi alla fine della seconda guerra mondiale, l'Italia fu l'unico paese democratico al mondo in cui il Partito Comunista poteva godere di un consenso elettorale non marginale (di poco inferiore a quello della Democrazia Cristiana) e avrebbe dunque potuto conquistare il governo tramite libere elezioni.

Questa particolarissima situazione bloccava l'esercizio democratico in quanto, in considerazione delle conseguenze internazionali che avrebbe comportato un'Italia governata dai comunisti quindi “appetita” dal blocco sovietico, non esisteva, di fatto, una realistica alternativa democratica alla forza politica che permaneva al governo del Paese, la DC. Di ciò erano consapevoli tutti i protagonisti e le forze politiche, PCI compreso. Ciò determinò la permanenza della stessa forza, la DC, alla guida del governo per quarant'anni, unico caso al mondo fatto salvo il Giappone.

Le forze politiche, coscienti della peculiarità della situazione, si adeguarono al contesto: la DC, ancorché dilaniata da continui conflitti intestini, governava senza possibili alternative; il PCI, all'opposizione per definizione, gestiva il governo di alcune regioni; gli altri partiti negoziavano posizioni di governo in appoggio alla DC. Lo schema in fondo funzionava, ma inevitabilmente bloccava l’esercizio democratico in quanto, di fatto, non esisteva alcuna possibilità di alternanza di governo.

Negli anni ottanta si alzò una voce a rompere questo schema, quella di Bettino Craxi. Egli mise in discussione lo stato delle cose e si propose di lavorare affinché anche in Italia si realizzasse la possibilità di un'alternanza di governo e quindi di una normale dialettica democratica. La sua visione aveva due caratteristiche: innanzitutto, va riconosciuto, era straordinariamente avanzata (ancora oggi non è pienamente e totalmente accettato il concetto di sana e serena alternanza di governo come necessità democratica), in secondo luogo, metteva in discussione un equilibrio che garantiva poteri stabili alle due principali forze, DC e PCI.

È dunque ben comprensibile che quella visione avesse molti nemici e nessun alleato. Il Partito Socialista Italiano guidato da Bettino Craxi, recitava la parte del vaso d'argilla tra due vasi d'acciaio. Il PCI era forte del sostegno dell'Unione Sovietica e del mondo delle cooperative, la DC integrava il finanziamento pubblico tramite l'impero delle aziende a partecipazione statale. Craxi riuscì a fare un primo passo in direzione del suo progetto, un passo forse piccolo, ma carico di significato: la guida del governo. Per la prima volta l'Italia ebbe un governo a maggioranza democristiana, ma a guida socialista. Nonostante l'indiscutibile prestigio internazionale che quel governo ottenne (mentre Enrico Berlinguer proponeva la prospettiva dell'eurocomunismo con i partiti comunisti francese e spagnolo), la DC di Ciriaco De Mita fece tutto quanto possibile per limitarne la vita e il PCI tornò a fare il suo mestiere di opposizione: non si ricorda una campagna d'odio pari a quella che fu scatenata contro Bettino Craxi e il suo Governo, certamente più feroce ancora di quella che sarebbe stata scatenata contro Berlusconi qualche anno più tardi.

L'alleanza DC-PCI volta a conservare lo status quo, trovò il suo culmine nella proposta del cosiddetto compromesso storico, prospettiva ben diversa da un governo di coalizione per far fronte a questa o quella emergenza: la teoria berlingueriana dell'unità democratica, passata appunto alla storia col più evocativo nome di compromesso storico, fu proposta da Berlinguer come prospettiva politica di lungo termine, come visione strategica, di fatto, come alternativa alla proposta craxiana dell’alternanza. Una stupefacente perversione antidemocratica: tutti insieme al governo, contro la prospettiva dell'alternanza di governo.

Craxi cercò appoggio tra chi poteva ricavare un vantaggio da uno Stato più moderno e democratico, quindi più efficiente; chi, se non le aziende private, poteva trarre beneficio dall’emancipazione dello Stato? Fu proprio in quel mondo che cercò sostegno. Diversi gruppi industriali scelsero di appoggiare l'iniziativa politica di Craxi, ma la gran parte di essi, per ragioni di opportunità, chiese che il contributo non fosse dichiarato. Craxi, travolto dall’ambizione, pur di portare avanti quel progetto per l'Italia, acconsentì. Questo fu il suo drammatico errore.

Egli divenne inevitabilmente ricattabile e quindi altrettanto inevitabilmente soggetto a dover "ricambiare il favore". Per quanto si sforzasse (i suoi compagni di partito ricordano memorabili sfuriate in tal senso) di svincolare il finanziamento ricevuto dal favore ricambiato, sedimentò all'interno del partito l'idea che fosse lecito (in quanto implicitamente autorizzato dal capo) lo “scambio di favori” e quindi, in sostanza, la tangente. La situazione gli sfuggì di mano e il Partito Socialista, specie a livello di amministrazioni locali, si trovò impastoiato in mille intrecci fra politica e affari.

Così, proprio nel momento in cui lo scenario internazionale, grazie al crollo dell'impero sovietico, avrebbe favorito la sua visione, Craxi pagò dazio per il suo errore e, purtroppo per lui, ma soprattutto per l’Italia, non poté portare a termine il suo progetto.
Si ebbe gioco facile nel fare di lui il colpevole numero uno, il mostro, il ladro. Prese corpo la leggenda del "tesoro di Craxi" e si determinò una sorta di linciaggio pubblico continuo. Prevalse la logica che vuole di stare col potente fino a quando è potente e di linciarlo nel momento della sua caduta. L’immagine emblematica della caduta di Bettino Craxi è racchiusa nel lancio delle monete mentre sale sull’auto. D'altronde siamo nel paese di Piazzale Loreto.

Enrico Berlinguer sta passando alla storia come l’emblema del bene: della sua biografia Walter Veltroni ha fatto un film e il suo nome è stato ritmato a un’adunata oceanica del Movimento 5 Stelle su incitamento dal palco da parte di Gianroberto Casaleggio: in fondo la “questione morale” posta a suo tempo da Berlinguer, può essere vista come antesignana della retorica grillina dell’onestà.

Ebbi occasione di incontrare Enrico Berlinguer nel 1979, in occasione dei funerali del sindacalista genovese Guido Rossa, vittima delle Brigate Rosse. In ragione di certi incarichi che avevo a quel tempo, partecipai a quella cerimonia sul palco delle cosiddette autorità: quando gli strinsi la mano, vedendo quello sguardo addolorato poggiato su quello scricciolo d’uomo, pensai che fosse un uomo al quale doveva essere facile volere bene. Con tutto ciò, adottando una visione storica, non si può negare che la sua scelta di restare fedele, ancorché criticamente, all’Internazionale Comunista ed anche la sua strategia politica dell'unità democratica, rappresentasse una posizione che la storia avrebbe poi tragicamente condannato e un “cul de sac" per l’emancipazione della democrazia italiana. La sinistra si libererá del tabú di Craxi solo quando avrà il coraggio di liberarsi del totem di Berlinguer.

Di Bettino Craxi oggi si continua a parlare con imbarazzo. Non si vuole dare conto di quanto la sua visione politica fosse illuminata.
A oggi si preferisce continuare a glissare e, quando non si glissa, si stenta a riconoscerne i meriti, rispolverando consunte e ingenerose etichette.  Scelse di vivere i suoi ultimi giorni da esule, nella sua casa nordafricana di Hammamet, non esattamente a spendere il suo presunto tesoro alle Cayman fra un bunga bunga e uno chemin de fer.

È onesto riconoscere il suo errore, è doveroso riconoscere lo spessore della sua visione politica, mai eguagliato da alcuno fino ad oggi. In occasione della celebrazione del ventennale della sua morte, vedremo chi dimostrerà coraggio politico e onestà intellettuale e chi continuerà a nascondere la testa sotto la sabbia.

@alechelo