davide de luca

“Socialismo significa potere dei Soviet ed elettricità per tutto il paese”, proclamava Lenin all’alba della rivoluzione bolscevica. Sappiamo come è andata a finire, il socialismo non è riuscito a edificare la società perfetta e a forgiare l’Uomo Nuovo, ma neppure a realizzare il programma minimo di garantire la luce alle masse proletarie. E vale non solo per tutte le esperienze comuniste del secolo scorso, ma anche per il Socialismo del XXI secolo, il regime realizzato in Venezuela dal caudillo Hugo Chávez e ora guidato dal suo delfino Nicolás Maduro.

Recentemente il governo ha dovuto razionare l’energia elettrica per l’incapacità di soddisfare la domanda della popolazione che ha provocato blackout in tutto il paese. Una parte del piano prevede la riduzione dell’orario di lavoro degli impiegati pubblici a 5 ore e mezza, proprio per risparmiare energia, insieme a misure per ridurre i consumi domestici. Ovviamente il governo ha dato la colpa alla “guerra economica” e ai sabotaggi delle opposizioni in combutta con l’imperialismo statunitense, ma si tratta di propaganda di bassa lega a cui non crede nessuno.

La cirisi energetica non è una novità in Venezuela, esplose violenta già nel 2009 quando Chávez era all’apice del potere e del prestigio, quando il modello chavista gonfiato dall’esplosione del prezzo del petrolio era considerato anche alle nostre latitudini l’alternativa al “modello neoliberista”. Già allora il Venezuela rimase per il 70% senza luce, con il potere in mano ai soviet ma senza elettricità, con il governo costretto a razionare la corrente elettrica per un paio di ore al giorno. Non è servito a molto. Nel 2013 si è ripresentato il problema, con un blackout che ha colpito mezzo paese lasciando al buio persino il ministero dell’Energia (fondato nel 2009 proprio per fronteggiare l’emergenza energetica) e la sede della Pdvsa (Petróleos de Venezuela) la compagnia petrolifera statale.

Per capire le dimensioni del fallimento del sistema bisogna considerare che il Venezuela senza energia siede sulle riserve petrolifere più grandi del mondo. Neppure l’immensa ricchezza petrolifera è bastata al populismo socialista venezuelano per evitare il default. I problemi di un’economia statalizzata sono scoppiati con il crollo del prezzo del petrolio, la risorsa che garantisce il 96% dell’export in un paese che non produce altro e i dollari necessari per importare tutto il resto. Con il crollo del pezzo del petrolio nel paese sono iniziati a mancare tutti i beni essenziali, dall’olio al pane, dalla carne al riso, per finire alla carta igienica. Oltre all’energia sono stati razionati anche gli acquisti e si sono iniziate a vedere quelle sterminate code davanti ai negozi con scaffali vuoti che nell’immaginario collettivo sembravano dover appartenere a un’epoca superata. Il governo ha risposto allo sfacelo gridando al complotto imperialista, controllando i capitali, il cambio, accusando gli accaparratori, nazionalizzando e sequestrando magazzini e imprese. E poi aumentando la spesa pubblica e stampando forsennatamente moneta: il risultato è un’economia al collasso, con scontri di piazza e saccheggi quasi quotidiani dei supermercati, una moneta che vale un millesimo rispetto al 1999, quando Chávez prese il potere, inflazione oltre il 100% (la più alta del mondo), recessione peggiore del Sud America, aumento della povertà, corruzione pervasiva e criminalità dilagante (in Venezuela c’è un omicidio ogni 20 minuti, per i motivi più banali).

Eppure il Venezuela sembra possedere i requisiti ideali per i populisti di casa nostra: è fuori dalla camicia di forza dell’Euro e dalla gabbia del modello neoliberista, se ne frega dell’austerity (altro che fiscal compact) e ha la tanto agognata “sovranità monetaria” che a colpi di svalutazioni e inflazione dovrebbe azzerare il debito pubblico e rilanciare l’export. In Venezuela questo modello ha soffocato qualsiasi realtà industriale e affossato la competitività, riuscendo nel miracolo di far importare petrolio, per la prima volta nella storia del paese, a causa dell’incapacità economica e tecnologica delle aziende statali di tirare su il petrolio da sotto ai propri piedi.

Al default economico e sociale, bisognerebbe poi aggiungere quello democratico con tutti i principali leader dell’opposizione arrestati o dichiarati incandidabilidichiarati incandidabili alle prossime elezioni parlamentari di dicembre, che vedono le forze governative del Psuv in netto svantaggio. Chi in Europa si entusiasma per gli epigoni di Chávez, i vari Tsipras e Iglesias, Syriza e Podemos, farebbe bene a dare un’occhiata a cosa è successo in Venezuela e dove portano il populismo fiscale e monetario. Il rischio non è più solo quello di non vedere la luce in fondo al tunnel, ma che si spengano anche quelle dentro.