La riforma elettorale proposta da Zingaretti e confezionata dal presidente grillino della Commissione Affari costituzionali, Brescia, serve ovviamente – come ogni riforma elettorale in una fase sostanzialmente (anzi perennemente) pre-elettorale – a cambiare il presumibile risultato del voto a legge elettorale vigente.

Serve inoltre a regolare i conti con gli scismatici del PD di destra (Renzi e Calenda, entrambi singolarmente sotto il 5%) e di sinistra (Leu e quel che ne rimane, SI, Rif com ecc. ecc.), offrendo loro l’alternativa tra Canossa e l’azzardo della sfida al voto utile, dovendo impacchettare per arrivarci una lista-coalizione di cari amici-nemici sempre a rischio di rottura.

Ma il cosiddetto Germanicum e la resa dei conti con gli scismatici è solo il dito della strategia di questo PD e del suo segretario. La luna che il dito indica e che anche per gli stolti è difficile non vedere è la rottamazione del vecchio bipolarismo destra/sinistra e del nuovo bipolarismo politica/antipolitica a vantaggio di un nuovissimo (si fa per dire) sistema dell’alternanza tra un’area demo-populista e una nazional-populista. In una parola, il governo Conte-bis che si fa o governo di sistema o opposizione di sistema.

La vera polpetta avvelenata della legge elettorale per Renzi, Calenda, Bonino e per quanti recalcitrano all'interno del PD è quindi quella della istituzionalizzazione del rapporto con il M5S o con quello che ne resterà (idealmente, attorno a Conte, Fico e ai grillini “di sinistra”) come asse della proposta progressista. Non tanto la sfida a superare il 5% o a tornare più prudentemente “a casa”, ma a sottomettersi alla ineluttabilità del rapporto con i 5 Stelle.

Il disegno di Zingaretti è astratto come tutti quelli che si affidano troppo alla meccanica della legge elettorale. Quando Renzi concepì il Rosatellum, l’obiettivo era quello di schiacciare in mezzo tra destra e sinistra il M5S, che invece finì per usare il meccanismo di voto come piattaforma di lancio, sbancando proprio laddove avrebbe dovuto perdere, cioè nei collegi uninominali.

Allo stesso modo, contare che dalla putrefazione del partito grillino si possano salvare pezzi compatibili e componibili con lo schieramento progressista rischia di dimostrarsi presto un wishful thinking, visto che la cosa più probabile è che quello che resterà dei grillini – non pochissimo, a occhio e croce – tornerà alle origini di un fascio-populismo indignado, alla Dibba per intendersi e tanti saluti all’avvocato del popolo doroteo con la sua pochette.

@carmelopalma