logo editorialeCome è noto, i professionisti dell'antimafia non vogliono norme chiare e comprensibili, perché pensano che queste siano un regalo alla mafia. Preferiscono norme oscure e ambigue, perfettamente aderenti all'ambiguità e all'oscurità del fenomeno mafioso e dunque adattabili alla caratteristiche di inchieste e processi che non possono, per loro natura, essere "normali". Poiché infatti le mafie non sono associazioni a delinquere come le altre e non confinano dall'esterno con la società legale, ma spesso la inglobano e se ne differenziano solo formalmente, allora - questo è il ragionamento - il diritto antimafia (non solo quello penale) deve rispettare il canone eccezionale dettato dall'eccezionalità (e dall'eccezionale gravità) del fenomeno mafioso. Non si può pretendere che sia astratto e generale, ma al contrario bisogna esigere che si faccia concreto e particolarissimo, così da infiltrarsi nel modo di funzionare della società mafiosa. Se no, non funziona.

Questo, oltre ad autorizzare l'invenzione legislativa o giurisprudenziale di reati "su misura" (come nel caso del concorso esterno in associazione mafiosa), impone anche di ampliare la discrezionalità giudiziaria non solo in ordine alla valutazione delle prove, ma anche alla qualificazione del fatto. Come a dire, mica pretenderete di acchiappare la mafia usando categorie a cui essa per sua natura sfugge? Mica penserete, ad esempio, che il favoreggiamento o il concorso o il vincolo associativo possa essere definito e provato secondo i principi che si applicano alla delinquenza comune? Mica pretenderete che, in una società omertosa e minacciata da una mafia onnipresente e ancora largamente padrona, si possano provare le responsabilità penali diversamente che con le chiamate di correo e che queste non debbano essere generosamente ricompensate?

Per quanto appaiano pretestuose ed eccessive, le proteste del M5S, di Ingroia, di Saviano, di Don Ciotti e dei (non tantissimi) oppositori della nuova formulazione dell'art. 416-ter sono perfettamente coerenti con le premesse dell'antimafia eccezionale. La tesi, in breve sintesi, è la seguente: se noi vogliamo colpire il voto di scambio politico-mafioso e non il voto di scambio, per così dire, semplice, non possiamo pretendere che la giustizia sia tenuta a provare l'erogazione o la promessa di denaro e di altra utilità da parte del politico al mafioso, ma dobbiamo contentarci di provare che il politico, senza aver dato né promesso esplicitamente niente, sarebbe comunque disponibile a soddisfare le esigenze del mafioso, quando di questo fosse richiesto. E come si prova questa disponibilità ipotetica? Non c'è neppure bisogno di provarla, perché è oggettivamente implicita nel rapporto tra il candidato e l'esponente mafioso.

È una follia? Sì, è una follia, ma non di natura così diversa dalle altre follie necessarie per "questa" lotta alla mafia. Per il Pd, che prima di optare per una formulazione più razionale del nuovo 416-ter, aveva sposato quella più anti-mafiosamente corretta e gradita al M5S, non è onestamente possibile tenere il punto senza riconsiderare complessivamente la deriva del diritto antimafia. Che è un'operazione delicata, in cui verrà certo utile il Prof. Fiandaca, e culturalmente molto impegnativa per un partito velenosamente mascariato, ma che fino a oggi non ha esitato a mascariare i garantisti troppo intransigenti e anche riguardo alla cosiddetta trattativa Stato-mafia, finché il fango non ha lambito il cortile del Quirinale, ha evitato di mettersi troppo di traverso a un processo che mancava di tutto - non solo delle prove, perfino del reato - non però della legittimazione morale e di un indignato mandato popolare, che è il vero sigillo dell'anti-mafiosità ufficiale.

Ma ora l'alternativa è chiara. Per il PD non esiste una terza via tra l'antimafia di Grillo, Ingroia e compagnia cantante - che fino ad oggi è stata anche la sua - e quella del Professor Fiandaca. Bisogna scegliere, non stare in equilibrio tra l'una e l'altra.

@carmelopalma