di maio conte grande

 Il Governo Conte 2 non è il mio Governo d’elezione. Non ne ho condiviso, insieme a tanti altri democratici, la tattica politica che ne ha portato la genesi e temo l’incontro/scontro con il populismo del Movimento di Grillo.

Ho creduto, e credo ancora, alla differenza tra Destra e Sinistra e penso che, oggi, tale contrapposizione si manifesti nella dialettica tra la Società Aperta del sistema liberale fondato sul principio di rappresentanza e la Società Chiusa/perfetta dei semplicisti e manichei che lucrano sulle paure della gente, su un futuro dipinto come apocalittico, su un’Italia rappresentata come un fortino assediato da difendere con le armi della Ragion di Stato, scordandosi dello Stato di Diritto.

Detto questo, il Governo Conte 2 è nato, come pure l’alleanza problematica ma “costituzionale”  tra riformisti e (pseudo/cripto)“rivoluzionari”,  Salvini si è auto inflitto l’Opposizione e, quindi, il pericolo di una svolta autoritaria e securitaria è per il momento scongiurato.

Come, infatti, non considerare eversiva l’intimazione “urlata” dal Capo leghista ai parlamentari e al Presidente della Repubblica per giungere ad un voto anticipato senza offrire gli indispensabili dati di conoscenza agli elettori utilizzati come marionette? C’è democrazia e voto libero laddove non esiste diritto alla conoscenza e le scelte del potente di turno vengono fatte sui sondaggi orientati dalle reti televisive sulle quali si esercita un pesante controllo governativo? C’è libertà laddove si cerca di semplificare il quadro politico annichilendo le voci diverse, consegnate all’interessato silenzio mediatico e magari costrette a emergenziali sottoscrizioni alle liste elettorali?

Le contraddizioni del Conte 2, di contro, sono evidentemente tante: il collante governativo – l’anti Sovranismo in salsa leghista – è forte nella tenuta dello Stato di Eccezione ma sembra debole nella prospettiva di politiche davvero condivise e, soprattutto, è reale il rischio evidenziato su Strade da Carmelo Palma di snaturare l’assetto anti populistico del Partito Democratico.

Eppure –  è giusto riconoscerlo in questa temperie complessa – non tutte le contraddizioni  sono tragiche o sterili; esistono infatti contraddizioni feconde, quel “ex malo bonum” che apre prospettive, ragionamenti di lungo periodo, speranze nuove.

È di questo tipo di contraddizioni che vorrei discutere, della bella armonia contrastante, ad esempio, incarnata dalla vicinanza spirituale e di scranno di Emma Bonino e di Liliana Segre che, per la “fiducia” al Senato, hanno votato diversamente pur rappresentando, a mio parere, la stessa posizione politica generale.

Sussiste, quindi, la crisi dei liberali che affrontano divisi questo passaggio storico ma, questa stessa crisi, il suo svolgimento concreto e pragmatico, ci può aiutare a sciogliere una matassa davvero ingarbugliata.

Perché è vero che Emma Bonino, per nulla convinta della conversione politica operata da Conte, non riconosce una svolta nelle posizioni di chi non dice agli italiani la verità sui conti pubblici e di chi non sembra davvero pronto a “disfare” i disastri giuridici e umanitari del Governo Giallo/Verde, ma è pur vero che la leader radicale ha sottolineato di essere “alternativa” non a Paolo Gentiloni, a Roberto Gualtieri o a Luciana Lamorgese ma a Matteo Salvini, garantendo una valutazione caso per caso, e quindi non ideologica, dei provvedimenti proposti al Senato da parte dell’esecutivo.

È vero pure che, alla Camera dei Deputati, Riccardo Magi, ex segretario di Radicali Italiani e parlamentare di Più Europa, ha votato la fiducia al neo Governo Conte – contraddicendo la posizione della Direzione Nazionale del suo partito, rappresentata coerentemente,  invece, al Senato da Bonino – ma è pur vero che non è giusto consegnare questa scelta “inutile” e non richiesta (dati i buoni numeri che la coalizione Giallo/Rossa ha alla Camera) nel novero dei trasformismi italici, perché proprio Magi, nel suo intervento per la “fiducia”, non ha nascosto i limiti del progetto e i rischi di una operazione parlamentare mal digerita da tanti dirigenti e militanti, riconoscendo, però – ecco la complessità feconda – che proprio la svolta europeista dell’esecutivo riaggancia l’Italia all’assetto euro-atlantico e allontana la deriva illiberale. Una prospettiva, a me pare, che può finalmente attualizzare (come per altro sancito da Zingaretti chiudendo la Festa dell’Unità a Ravenna) la strategia epocale degli Stati Uniti di Europa, perché solo nella possibile condivisione Continentale di problemi e responsabilità si può dare corpo alla speranza di liberare gli italiani dall’incubo indotto dell’invasione straniera.

Magi, in ultima analisi, ha riproposto un ragionamento tipico di Marco Pannella: quel decidersi per il possibile contro il probabile che riassume, appunto, la fecondità di un approccio che rigetta ogni pre-giudizio.

Da ultimo, vorrei tornare al fotogramma fecondo dell’armonia contrastante Bonino/Segre, a quell’unità nella diversità della decisione presa, a quella identica opzione moralmente libera e sensata contro l’imbarbarimento della laicità costituzionale vilipesa dagli slogan dei cristianisti (che la Segre ha ben sintetizzato richiamando il “Gott mit uns” dei nazisti), contro il precipizio valoriale dell’equiparazione straniero/nemico, contro gli odiatori di professione – che non hanno mancato di rumoreggiare contro l’una e l’altra – pronti a leggi speciali e rivendicati “pieni poteri” avverso intere categorie e soggetti deboli.

Liliana Segre, a tal proposito, ha parlato di scampato pericolo, e di senso di sollievo che può costituire il punto di partenza spirituale, il riconoscimento dell’eccezione in corso, quel timore e tremore che, se ben veicolato dal buon senso di una prospettiva di lungo periodo,  può senz’altro “giustificare” un’azione governativa aperta alla concretezza, alla effettività, alla realtà complessa, a ciò che costituisce, quindi, uno dei più nobili retaggi della riflessione liberale.