I problemi interni del M5S sono stati ieri definitivamente “nazionalizzati” e battezzati problemi della Repubblica. L’assenza di un principio di autorità o di legittimazione, non così paradossale nei sistemi totalitari al collasso, ha trasferito la guerra di tutti contro tutti nella fattoria degli animali grillina nel cuore delle istituzioni.

Il sistema operativo del Movimento, cioè una fabbrica di bot e di troll gestita dal successore dinastico del guru delle origini, è divenuta così la suprema magistratura repubblicana, cui sarà affidata, dopo il Quirinale e in sua vece, la decisione sul destino della legislatura.

Secondo quanto stabilito dal M5S e assentito dal PD il Capo dello Stato dovrebbe affidare a un premier incaricato, sulla base delle indicazioni espresse oggi al Quirinale dei Gruppi Parlamentari, un mandato per la formazione del nuovo Governo, ma esso sarebbe condizionato però al voto del popolo digitale su Rousseau. Con comodo, la prossima settimana.

Il precedente del 2018 era stato meno inverecondo e quasi “normale”. Il 18 maggio su Rousseau l’esercito degli invisibili aveva approvato il Contratto per il Cambiamento e cinque giorni dopo Mattarella aveva incaricato Conte. Qui si pretenderebbe di fare il contrario, di inaugurare la democrazia a sovranità subordinata. Non l’identificazione tra i cittadini e lo Stato vaticinata da Casaleggio, ma tra l’Italia repubblicana e il Libano grillino.

Il silenzio del Quirinale, che in questa crisi non è mai stato propizio e oggi rischia di essere rovinoso, ha in qualche modo confermato questa “innovazione”. Qualora questa sera il Capo dello Stato rimettesse le cose nel loro giusto ordine – e imponesse il rispetto dei tempi della crisi dettati in precedenza – i sabotatori a 5 Stelle si sentirebbero, loro, autorizzati a urlare al sabotaggio.

In ogni caso, anche questa suprema onta alla legalità costituzionale conferma la natura mostruosa di un governo fatto sotto ricatto e dettatura della fazione perdente della cupola populista.

@carmelopalma