Le divisioni del campo anti-sovranista rispetto al sostegno al Governo Conte-bis sono di diversa natura. Le due scelte – contro o a favore – non fotografano due analisi e strategie organicamente opposte, ma raggruppano un complesso di posizioni che hanno motivazioni e prospettive diverse. Non consideriamo l’opzione contraria (che è quella di chi scrive). Concentriamoci su quella favorevole.

C’è chi è a favore perché pensa di saldare una frattura tra “Popolo” e “sinistra” che l’irruzione del M5S sulla scena ha dolorosamente scomposto, ma che era causata dall’osteoporosi ideologica della cultura progressista, disposta, per compiacere il mainstream europeista, a vendere l’anima al diavolo liberale. Il ritorno a sinistra del PD zingarettiano è fondato essenzialmente su questa analisi e dunque una coalizione di governo con il M5S – ancorché tatticamente sconveniente per Zingaretti – è perfettamente coerente con questa impostazione.

C’è poi chi è a favore, come Renzi, per ragioni puramente opportunistiche, di autoconservazione e sopravvivenza. Le elezioni anticipate avrebbero segnato la fine anche del renzismo minoritario, dopo che quelle precedenti avevano dissolto l’illusione di un renzismo maggioritarie. Quindi per Renzi come per Di Maio la prosecuzione della legislatura è vita, mentre il voto anticipato è morte. In questo scenario la Lega è l’alibi, non la causa di una scelta che contraddice la stucchevole retorica del #senzadime.

Infine c’è chi è a favore del governo Conte-bis in una logica sinceramente “frontista”, di opposizione all’immediato ritorno alle urne e quindi del presumibile ritorno al potere di Salvini. È la posizione di quanti non si preoccupano di celare il proprio disprezzo per il populismo grillino, ma sperano che, comprando tempo, la mano invisibile della storia possa dissolvere il fantasma di Salvini, cioè il pericolo più pericoloso che incombe sulla testa degli italiani e forse degli europei.
Queste tre posizioni condividono un solo presupposto, che è, dal mio punto di vista, il più sbagliato e pericoloso per una strategia antipopulista e antisovranista di medio/lungo periodo.

Tutte e tre le posizioni considerano il M5S un accidente politico più o meno sventurato (o perfino provvidenziale), ma privo di una sostanza politica propria. Un puro effetto collaterale del collasso del sistema politico italiano, una montagna di macerie delle costruzioni politiche altrui, non una nuova “casa” con regole e dinamiche alternative a quelle sperimentate. Questa sottovalutazione della natura originale del M5S e della portata innovativa di questo formidabile esperimento sociale porta anche alla relativizzazione della potenza del contagio, che l’antipolitica grillina ha diffuso nella società politica italiana. La normalizzazione di “Rousseau”, la sua ridicola equiparazione a un normale meccanismo di voto a distanza, la sua ipocrita istituzionalizzazione (“è come la Direzione per un altro partito”, dicono i politici di mondo…) sono essi stessi i segni dell’avvenuto contagio.

Di fronte a partiti monarchici, oligarchici, aziendali, leaderistici o personali – come molti che hanno segnato la storia dell’Italia repubblicana, dal PCI a Forza Italia –perché - domandano gli ingenui finti e veri - dovrebbe fare scandalo il “partito Rousseau”, che è solo un mix di tutte queste poco commendevoli, ma diffusissime caratteristiche? Perché il M5S non è un partito antidemocratico come qualunque altro, ma è un sistema antidemocratico diverso da qualunque altro, in quanto traveste il massimo del controllo, del condizionamento e dell’alienazione ideologica in un (finto) massimo di apertura, di partecipazione, di uguaglianza e di neutralità.

Come si fa a non vedere che è un problema del tutto a sé, e gigantescamente più grave di ogni altro, quello di un partito che rappresenta (nelle camere) un italiano su tre e che non solo è tutto nelle mani di una persona e della sua corte (era così anche con Berlusconi), ma si presenta come un sistema perfetto e impersonale, in grado di assicurare la piena coincidenza tra la decisione politica e la volontà popolare, grazie alla macchina speciale e agli algoritmi profetici di Rousseau?
Rousseau non è una piazza digitale, è un metodo per lo sfruttamento delle dissonanze cognitive, una gallina dalle uova d’oro nell’era delle verità alternative come nuovo ecosistema politico. Rousseau non parte dalla, ma vuole arrivare alla fine della democrazia rappresentativa. È sempre un errore non prendere sul serio le promesse totalitarie, come se fossero mattane da esagitati.

Non capire (o non ammettere) tutto questo e comportarsi come se Rousseau non fosse Rousseau, ma un gioco di società di una combriccola di scappati di casa, porta a sovrastimare le possibilità di cambiamento del corpaccione del M5S e a sottostimare il rovinoso effetto risucchio nelle sue spire.

Per ricapitolare: Rousseau non è un sistema di democrazia diretta o un meccanismo di voto a distanza. Il garante della privacy ha contestato l’assenza di minimi requisiti di sicurezza e di garanzia della integrità, autenticità e segretezza del voto in questo miracoloso miscelatore della volontà generale e ovviamente non ne ha in alcun modo compromesso la popolarità politica. Proprio perché Rousseau non è un organo democratico, ma è un Papeete digitale, un sistema di recapito di pizzini elettronici, una tecnica di estorsione politica interna e esterna, a cui ora sta appesa la sorte della legislatura. Chi accetta il voto di oggi sul governo Conte-bis accetta e legittima questo, non altro. È un atto di capitolazione politica, un'inchinata al boss dell'Italia populista. Silenzio, parla Rousseau.

@carmelopalma