Deficit, pensioni anticipate, condoni. Quale cambiamento? È l’Ancien Régime
Istituzioni ed economia
Se qualcuno volesse scrivere con spirito di verità la storia del trapasso della Prima nella cosiddetta Seconda Repubblica e l’ordalia di Tangentopoli dovrebbe, in primo luogo, indagare le ragioni della coincidenza tra il default dello Stato e quello del sistema politico, cioè tra la fine del credito riconosciuto dai mercati al nostro debito pubblico e alla nostra moneta e quello del popolo per i partiti che, dall’inizio del secondo dopoguerra, avevano governato la democrazia italiana.
La vulgata “manipulitista” – il populismo mediatico-giudiziario che ha fatto da precursore a quello politico - vuole che il (quasi) fallimento dello Stato fosse figlio della corruzione dei partiti e che quindi la questione politica fosse un sottoprodotto della cosiddetta questione morale. Detto in soldoni – con parole tuttora in voga - si è creduto (anzi, si è voluto far credere) che il bilancio dello Stato, delle regioni e dei comuni fosse diventato una mangiatoria in cui trovavano soddisfazione tutti gli appetiti “illeciti” (parola voluttuosamente pronunciata in tutte le cronache del Terrore celebrato nel triangolo tra Procure, Media e Parlamento) e che i soldi erano finiti per essere stati mangiati dai politici e tolti dalla bocca del popolo.
La storia vera e quella ufficiale ovviamente non coincidono. Il macigno del debito pubblico era stato prodotto, semplicemente, per comprare consenso. Dalla fine degli anni ’70 la politica italiana era diventata un sistema di scambio tra voti e prestazioni economiche su misura e il patto sociale era stato cementato da un fiume di miliardi spesi “oggi” come se il “domani” fosse destinato a non arrivare mai. In un quindicennio di baldoria tra la fine degli anni ’70 e l’inizio degli anni ’90 l’Italia ha scavato il baratro sul cui orlo, per i successivi vent’anni, ha continuato a ballare la politica italiana, rinviando ogni volta più in là il momento del redde rationem.
La vera corruzione politica italiana era in questa democrazia ridotta a meretricio e a compravendita di anime e di corpi. La corruzione di cui si occupò Tangentopoli stava a valle, e non a monte di questo fenomeno e regolava la vita interna dei partiti e le relazioni pericolose tra economia e politica, non i grandi flussi di voti e di soldi mobilitati dalla dialettica politico-parlamentare. Tutti perfettamente leciti, sacrosantamente democratici, straordinariamente popolari, nel doppio senso di andare incontro a ogni tipo di domanda e di riscuotere per questo un trasversalissimo successo. Una vera unità nazionale, un vero partito unico della spesa pubblica.
Il Governo del Cambiamento, lungi dal rappresentare una alternativa a questa tradizione, ne rappresenta la perfetta continuità. Il Governo Conte non è la Rivoluzione, ma l’Ancien Régime, e ha perfino perfezionato la degradazione della democrazia italiana a un sistema di corruzione politica, in cui il voto diventa "tangente" e il governo "dazione".
La “manovra del Popolo” è una raccolta di marchette e la prosopopea popolare dei ministri una perfetta incarnazione della retorica trasformistica che ha sempre dissimulato il do ut des in una “nuova” e diversa sollecitudine per i bisogni degli ultimi. Deficit, misure assistenziali, pensioni anticipate, condoni fiscali: l’intero repertorio dei governi, che hanno consentito agli italiani di ieri di depredare gli italiani di oggi, diviene il programma di un Governo che vorrebbe consentire agli italiani di oggi di depredare quelli di domani. Con la piccola differenza che la festa è finita e non ci sono i margini per fottere i posteri senza fottere anche i morituri.