Francesco, il Papa 'straniero' e la nuova demografia della Chiesa
Istituzioni ed economia
Non è un caso che Papa Francesco sia diventato la pecora nera della politica italiana, incline, secondo la celebre auto-definizione mussoliniana, a essere 'cattolica ma anticristiana' e ad usare la religione in funzione ideologica, quindi in modo strumentale o opportunistico, come un complesso di dottrine a supporto di una fede sostanzialmente politico-identitaria.
Si può sorridere e inorridire di fronte al fatto che i più scatenati difensores fidei dall’eresia francescana, giudicata negligente rispetto all’emergenza migranti e alla loro minacciosa presenza in partibus fidelium, risultino oggi Nina Moric, Magdi Allam, Matteo Salvini e Maurizio Gasparri. Ma la diffidenza per una Chiesa troppo accogliente e “buonista”, cioè nella sostanza troppo cristiana, è ampiamente diffusa tra i praticanti italiani, che, ad esempio, sullo ius soli appaiono spaccati più o meno a metà, con una rapida crescita della parte più refrattaria agli appelli del Pontefice.
Se si guarda invece al sistema dei partiti, quelli che negli scorsi anni erano più pregiudizialmente papisti e più apertamente schierati a difesa dei “valori della Chiesa” quando il richiamo verteva soprattutto sui principi non negoziabili dell’etica sessuale, procreativa e familiare, ebbene, oggi che la questione antropologica è riproposta in chiave più propriamente politica – contrasto della povertà, governo delle migrazioni, tutela della libertà religiosa e delle minoranze, rispetto dei diritti umani – sono i più esplicitamente antipapisti e provocatoriamente disobbedienti ai richiami di Papa Francesco.
Se si guarda però a questa apparente trasmutazione della “politica della Chiesa” in Italia, indotta dall’attuale papato, accanto ai motivi più propriamente dottrinari emergono soprattutto questioni di geopolitica interna di un’istituzione universale, che sta rapidamente mutando il proprio baricentro demografico e sociale ed è quindi naturalmente più prossima ai movimenti tellurici delle diverse periferie del mondo, che agli equilibri identitari dei continenti europeo e nordamericano.
La mappa dei quasi 1,3 miliardi di cattolici è sempre più estesa e lontana dal centro dei primi nuclei di evangelizzazione e insediamento politico. Il Paese con più cattolici al mondo è il Brasile; il Messico è in termini assoluti, e ancor di più in percentuale, decisamente più cattolico degli Stati Uniti. Ci sono più cattolici nella Repubblica democratica del Congo che in Germania e assai più nelle Filippine che in Italia. Ci sono più cattolici in Africa che in Europa occidentale e più in Centro e Sud America che in Nord America.
Le vocazioni e in genere le attività ecclesiastiche – educative, caritatevoli e propriamente religiose – crescono maggiormente nei continenti e nei Paesi meno sviluppati, in cui la Chiesa Cattolica è quasi ovunque minoritaria. Chi accusa Francesco di essere “terzomondista” e di essere contaminato dalle tendenze social-pauperiste della teologia della liberazione (di cui pure, indubbiamente, riecheggia molti accenti), non sembra badare alla sostanza, cioè che è la sua Chiesa ad essere sempre più marcatamente “terzomondiale”, sempre più “povera e per i poveri”, per una condizione di fatto prima che per una vocazione religiosa.
Per la stessa ovvia ragione, quella di Francesco è una Chiesa ormai strutturalmente meticcia dal punto di vista etnico, in cui il problema dell’inculturazione della fede passa in primo luogo dalla testimonianza vivente - posto che nelle diverse e complicate terre di confine, in cui all’istituzione cattolica si aggrappano milioni di derelitti, è difficile evangelizzare la cultura, senza dare il senso di condividerne esistenzialmente il destino. Al di fuori di ogni retorica, ma per ragioni quasi materiali, questo spiega perché la Chiesa di Francesco e quella che a Francesco sopravvivrà, fattasi davvero e concretamente universale – ma sempre più liminale, minoritaria e pellegrina – guardi con raccapriccio all’uso dell’universalismo cattolico come fondamento dell’esclusivismo etnico e geografico e alla tentazione di usare la croce come muro o confine di civiltà.
Questa Chiesa che delude oggi la destra è però presto o tardi destinata a deludere anche la sinistra che la pensasse schierata sul fronte progressista, come se, in Francesco, l’universalismo religioso e il cosmopolitismo laico finissero per coincidere. Non è così e non sarà così, anche in questo caso, neppure dopo Francesco, che non è un Papa sortito dalla vecchia (e benedetta!) rivoluzione dei lumi, ma dalla nuova (e benedetta!) rivoluzione demografica della cattolicità.
Comunque, chi continua a invocare le radici cristiane dell’Europa in funzione xenofoba, oltre ad avere equivocato le radici cristiane del cristianesimo, continua in primo luogo a rimuovere il problema delle sempre più profonde radici “straniere” della nuova Chiesa. Chi cerca un “altare”, a cui imbullonare il “trono”, deve cercarsene un altro.